Il clima in Burundi è sempre più conflittuale e l’Unione Europea ha già ritirato una parte del proprio personale diplomatico. Tra quanti intendono restare nel Paese c’è l’ong SOS Villaggi, che accoglie 80 mila bambini. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Elena Cranchi, responsabile della comunicazione di SOS Villaggi:
R. – Il Burundi sta attraversando un momento drammatico. Da aprile è teatro di violenti scontri – si parla addirittura di una guerra – e sono 200 le vittime e 200.000 le persone che stanno fuggendo. Fuggono soprattutto dalle aree dove è iniziata l’opposizione al presidente. Noi abbiamo lanciato un appello, dicendo a gran forza: “Giù le mani dai bambini” perché sono, come sempre in ogni zona di conflitto, i più vulnerabili e le prime vittime. Noi continuiamo assolutamente a lavorare. Tra l’altro, siamo in Burundi dal 1976 e abbiamo iniziato con l’assistere la popolazione colpita dall’Aids. Abbiamo ora cinque villaggi Sos, gli asili, delle scuole che continuano a rimanere aperte. Questo significa che da parte nostra non c’è nessun tipo di resa, o arresa, di fronte ad una situazione dove, invece, le persone hanno paura e stanno cercando delle zone più sicure.
D. – Un vostro infermiere è stato ferito da una granata in questi giorni: quanto è pericolosa la capitale del Burundi?
R. – È pericolosa: si è parlato di una vera e propria esecuzione in uno dei bar più frequentati della capitale. Purtroppo abbiamo già pianto una vittima: una giovane ragazza che viveva nel villaggio Sos di Muyinga, uccisa a maggio. Adesso c’è stato il ferimento di un infermiere nel nostro centro medico Sos: è stato colpito da una granata. Le ultime notizie di ieri dicono che è ancora in convalescenza, anche se è fuori pericolo di morte.
D. – Come riuscire a dare stabilità a questi ragazzi in un momento così difficile?
R. – Quello che noi registriamo sempre, in ogni Paese – ora in Burundi, ma poi anche in Siria e in tutti i Paesi dove ci sono guerre – è il confrontarsi con bambini e ragazzi che ritrovano lo stesso terrore e la stessa paura che hanno sperimentato nella loro vita, combattendo le “loro” guerre personali. Bisogna pensare che le storie dei ragazzi – sono più di 80.000 quelli di cui ci occupiamo e che accogliamo ogni giorni nei nostri villaggi Sos – sono tante. Quello che noi facciamo, e abbiamo sempre fatto, è riuscire a mantenere una serie di quotidianità nei gesti o nelle cose, in modo che per loro sembri che non sia cambiato nulla.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va/Veronica Di Benedetto Montaccini)
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