R. – La situazione è cambiata da circa un mese, con la presenza dell’esercito del Ciad e con le incursioni della cosiddetta coalizione in territorio nigeriano. Oggi, possiamo dire che da un mese, un mese e mezzo a questa parte, c’è stata una diminuzione del numero di rifugiati, ma un aumento della gravità di questa situazione, perché la gente che arriva è molto più stremata di prima. La maggior parte delle persone sono donne, bambini e anziani, mancano gli uomini, che non si sa bene dove siano, se siano arruolati tra i Boko Haram o se siano scappati o se siano altrove. Queste persone arrivano ancora più stremate perché ora arrivano da zone più all’interno. Quando è arrivato il contingente dal Ciad, entrato in Nigeria per mettere in sicurezza la zona vicino alla frontiera, Boko Haram si è spinto un po’ più all’interno del Paese. Questo ha provocato in alcuni villaggi, che prima non venivano direttamente toccati, la stessa situazione che c’era prima alla frontiera e quindi massacri, ruberie. Tutto questo ha portato la popolazione ancora a scappare.
D. – Secondo lei, questa azione delle forze del Ciad è efficace?
R. – Sembra essere efficace. Credo sia una azione da considerarsi a tappe. La settimana scorsa si sono incontrati i capi di Stato (di Nigeria, Ciad, Niger, Benin e Camerun – ndr) e hanno deciso di costituire una nuova forza d’urto composta da militari dei diversi Paesi. Quindi, saranno circa 10 mila gli uomini che interverranno ulteriormente. Attualmente, la forza della coalizione è centrata sul contingente ciadiano, che sta svolgendo un lavoro militare molto forte, anche se al momento si accontenta di mettere in sicurezza la fascia sul confine in attesa che si attui quest’altra soluzione che è stata già presa, cioè mettere in campo questa forza d’urto che interverrà più all’interno.
D. – Quanti rifugiati avete ospitato finora?
R. – Dall’inizio penso siano state varie decine di migliaia. Il metodo che viene seguito qui fa sì che i rifugiati quanto entrano vengano accolti dalle autorità e dai nostri operatori. Poi, nel giro di 15-20 giorni, vengono presi in carico dalle Nazioni Unite, che li porta nel campo profughi di Minawao, vicino a Maroua: è un grande campo, che accoglie più o meno 50 mila persone, che è stato costituito proprio in questi ultimi mesi. Attualmente, noi seguiamo non più di duemila profughi. A questi vanno poi aggiunti gli sfollati camerunesi che sono stati allontanati dai villaggi della frontiera.
D. – Voi come riuscite a sostenere tutte queste persone?
R. – Riusciamo a farlo con gli aiuti che abbiamo ricevuto dai nostri sostenitori europei, che ci permettono di dare però solo un primo aiuto, non possiamo aiutare tutti e in modo continuo. Almeno cerchiamo di fare il necessario per permettere a queste persone di sopravvivere.
D. – Attualmente, qual è l’emergenza?
R. – Noi abbiamo due tipi di emergenze prioritarie: quella alimentare e quella sanitaria. A queste fa poi seguito un discorso a medio termine, che è quello di evitare che ci sia una parte di questa popolazione che resti sulla strada, senza alloggio. E’ necessario quindi trovare delle case, ma anche trovare il modo affinché possano avere acqua pulita, per evitare le epidemie normali in queste situazioni.
D. – Quanti sono i cristiani che arrivano da voi?
R. – Non c’è una stima concreta di quanti siano i cristiani o di quanti siano i musulmani. Bisogna riconoscere che adesso sono tutte persone che si trovano nella stessa situazione, indipendentemente dalla loro fede religiosa. Attualmente, non c’è un “accanimento” contro i cristiani. Faccio l’esempio di Fotokol: quando hanno attaccato, 15 giorni fa, questa cittadina hanno colpito soprattutto dei musulmani che erano ritenuti collaboratori o non così fanatici come loro. Quindi, se dovessimo fare una stima credo che i cristiani non siano più del 5-6% della popolazione che assistiamo, gli altri sono in maggioranza musulmani. Noi possiamo portare questo tipo di assistenza grazie agli aiuti che ci arrivano dall’Italia, dalla Germania. Noi qui ci occupiamo di questo pezzo di Africa e stiamo cercando di fare tutto il possibile per diminuire un po’ le sofferenze di queste popolazioni.
D. – E lo state facendo anche a costo della vostra vita?
R. – Fino adesso ce la siamo cavata. Però, sappiamo che le zone sono pericolose sia per questi attacchi sia per queste strade che sono state minate. Quello che stiamo temendo è che arrivi anche qui la situazione che si sta realizzando in Nigeria, quella dei bambini kamikaze. Non si può escludere in alcun modo che arrivi anche qui. Per il momento, fortunatamente, non abbiamo alcun caso da segnalare.
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