In aereo, di ritorno da Lesbo, emerge con sempre più chiarezza quel tratto della personalità di Papa Francesco del quale nessuno oggi può più fare a meno se vuole vivere in una società multireligiosa, multiculturale e multirazziale: rispetto, chiamare le cose col loro nome. “Perché ha salutato Sanders prima di partire?“. “È stato un semplice saluto e niente di più: si chiama educazione, non mischiarsi nella politica. Se qualcuno pensa che dare un saluto sia immischiarsi in politica gli raccomando di trovare uno psichiatra”. Ride e quel sorriso è il gesto più politico che si possa fare perché brucia in un istante mesi di politica di Sanders per costruire quel saluto: è come quel “io non l’ho invitato” rivolto al sindaco Marino quando si tornava dagli Usa.
Stringere una mano vuol dire solo “stringere una mano”, le parole vogliono dire “quello che vogliono dire”: la gente sa che la parola che Papa Francesco usa con Raul Castro e la stessa che usa con lei, cioè sa che le regole sono uguali per tutti.
“Perché torna in vaticano con famiglie di profughi mussulmani e non cristiani?” è la domanda. “Perché i mussulmani avevano i documenti in regola e potevano essere accolti. I cristiani invece non avevano le carte in regola.” Tutto qui? Sì, tutto qui: ma questa si chiama rivoluzione. Perché rompe la filiera della politica, della comunicazione. È la morte dei non detti, dei cultori dell’interpretazione, del politichese, dei vaticanisti, l’azzeramento delle posizioni dominanti. Nessun privilegio: non importa se sei cristiano o mussulmano: per varcare le frontiere ci vogliono i documenti.
Quando il Papa dice di abbattere muri e di costruire ponti non ha in mente da una parte una città muragliata cinta d’assedio e dall’altra un ponte sterminato che chiunque può attraversare. Pensa ad una civiltà in cui possono convivere persone diversissime perché vengono coltivate le regole della civiltà, gli spazi del rispetto, i luoghi delle differenze. E questo non è possibile senza il rispetto delle regole. “Io capisco i governi e anche i popoli che hanno una certa paura. Dobbiamo avere una grande responsabilità nell’accoglienza e una delle cose su cui avere responsabilità è come integrare questa gente tra di noi. Ho sempre detto che costruire i muri non è una soluzione, dobbiamo fare ponti, ma i ponti si costruiscono con intelligenza, con il dialogo e l’integrazione.” Posso ospitare gente a casa mia non perché non ho mura ma perché ho porte. E citofoni, e serrature, e spioncini, e una stanzuccia in cui far accomodare chi mi porta una raccomandata da firmare e non trovarmelo in cucina o in camera da letto.
Questa attenzione alle procedure vuol dire rispetto per la gente. Questo rispetto è il vero centro della rivoluzione dei ponti e non dei muri, è la stessa attenzione ad usare le parole per il senso che le parole hanno, è rispetto per gli oggetti e quindi per le procedure. È lo stesso atteggiamento che ha fatto pagare a Papa Francesco la prima notte in albergo, che gli fa tenere le scarpe nere perché sono appena risuolate e vanno ancora bene, che lo fa dormire a Casa Santa Marta perché gli fa bene stare con la gente. Costruire muri fa male a chi li costruisce. Perché escludersi dalla realtà significa semplicemente amputarsi dal vivere.
Di Don Mauro Leonardi
Tratto da L’Huffingtonpost