Sono i figli delle famiglie sfollate dalla ex Jugoslavia, ma in futuro potrebbero essere i discendenti dei rifugiati che stanno arrivando in Italia e in Europa. Sono 15 mila gli apolidi nel nostro paese: persone, cioè, che hanno perso o non hanno mai avuto la cittadinanza, e che dunque non hanno la possibilità di studiare, di sposarsi, di lavorare, di avere dei documenti, dei diritti. In Europa si stima che siano 600 mila persone a vivere in questo limbo. Una condizione che può diventare una condanna in un paese come l’Italia, dove il riconoscimento di questo status è praticamente impossibile: a causa di procedure inaccessibili, infatti, solo 606 persone hanno uno status di apolidia riconosciuto nel nostro Paese. Gli altri sono totalmente invisibili.
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Per riaccendere i riflettori su un problema ancora poco conosciuto nel nostro paese, il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) lancia la campagna #NonEsisto , partendo dalle storie di chi vive la condizione di apolide sulla propria pelle e su quella dei propri figli. “Sono apolide, anzi neanche apolide. Sono invisibile, perché ancora non ho il riconoscimento dello stato di apolidia…..Valgo zero”, dice per esempio il signor Halilovic. L’obiettivo è mostrare cosa comporta l’esistenza negata agli apolidi, laddove la loro condizione non viene riconosciuta e con essa tutti i loro diritti e le loro opportunità. La campagna fa parte del progetto Listening to the sun, realizzato dal Cir con il sostegno della Open Society Foundations in Italia.
“L’apolidia è in sé una condizione estremamente complessa e dolorosa, perché presuppone l’inesistenza, la negazione del legame più importante che unisce un individuo al suo Stato: la cittadinanza – sottolinea Fiorella Rathaus, direttrice del Cir -. Ma questa condizione può divenire addirittura drammatica se non riconosciamo a queste persone identità e diritti. Tutti gli esseri umani hanno diritto ad avere una nazionalità, e coloro che ne sono sprovvisti hanno comunque diritto ad una protezione adeguata. Per questo motivo, con questa campagna vogliamo creare una sensibilità sul tema che possa favorire in Italia l’introduzione della legge sull’Apolidia, uno strumento normativo che possa garantire una procedura chiara, facilmente accessibile e fruibile per tutti coloro che hanno diritto a chiedere il riconoscimento di apolidia, e che includa una regolamentazione dei diritti della persona, durante l’iter e dopo l’eventuale riconoscimento”.
Nella campagna il Consiglio italiano rifugiati ricorda che l’apolidia è una condizione che si tramanda per generazioni e a pagarne le conseguenze sono spesso proprio i bambini. Molti figli nati nel nostro Paese da famiglie sfollate dalla ex Jugoslavia hanno ereditato la condizione di apolidia dai loro genitori o si sono ritrovati con una nazionalità incerta. Rappresentano la seconda o terza generazione e, per varie cause, non hanno avuto accesso a uno status riconosciuto. A causa di questa condizione di sostanziale irregolarità non possono neanche ottenere la cittadinanza italiana: la loro esclusione dai diritti di cittadinanza è un dramma sociale e un problema giuridico rilevantissimo, su cui abbiamo la possibilità e il dovere di intervenire.
“Un rischio che potrebbero correre anche i rifugiati che stanno arrivando in Italia e in Europa e che ci pone di fronte alla sfida di individuare e prevenire possibili situazioni di apolidia tra i bambini che non hanno potuto ottenere la cittadinanza dei propri genitori o del proprio paese di provenienza – aggiunge il Cir -. Questo può succedere ad esempio nel caso dei figli nati da madri siriane rimaste sole, che non possono trasmettere la cittadinanza ai loro figli a causa della legge siriana che lo permette solamente ai padri”. Il 25 novembre 2015 la Commissione Diritti Umani del Senato in collaborazione con il Consiglio Italiano per i Rifugiati e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha presentato il Disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide. “L’adozione di una legge organica garantirebbe una procedura semplice e accessibile per il riconoscimento dello status di apolidia, facilitando quindi l’identificazione delle persone apolidi presenti in Italia e assicurando loro il godimento dei diritti fondamentali e una vita dignitosa”, conclude il Cir.
Redazione Papaboys (Fonte www.redattoresociale.it)
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