In Italia è nato il “primo figlio dell’eterologa”. Ma è meglio andarci piano con i trionfalismi

In Toscana è nato il primo bambino italiano concepito con la fecondazione artificiale eterologa in una struttura pubblica. La notizia è stata data dall’ospedale fiorentino di Careggi, dove la tecnica è disponibile a pagamento, come in tutto il resto della Regione. L’eterologa è legale da quando la Corte costituzionale, nell’aprile del 2014, ha bocciato l’articolo della legge 40 che la vietava invocando il «diritto al figlio».

AUGURI DAL GOVERNATORE. Salutando il primo bambino nato nella struttura pubblica, il governatore della Toscana Enrico Rossi ha dichiarato: «Auguri al bambino e ai genitori. Siamo felici di aver contribuito alla nascita di una nuova vita. La sanità toscana ne è orgogliosa. Per la qualità dei servizi e per l’impegno in difesa e per la promozione dei diritti della persona». Le parole trionfalistiche di Rossi, però, non dicono tutto sulla tecnica e sulla “promozione dei diritti della persona”.

TASSO DI SUCCESSO BASSO. Il tasso di successo della tecnica, innanzitutto, è finora molto basso: su 42 cicli di fecondazione avviati in Toscana, solo 12 hanno portato a gravidanze (non a bambini nati), cioè il 28 per cento. Questo, inoltre, non era il primo caso di eterologa in Italia: in ambito privato, erano già nati due gemelli nella clinica Alma Res Fertility di Roma. In ambito pubblico, invece, erano già nati l’anno scorso i due famosi gemellini dell’ospedale Pertini di Roma.

«BAMBINI INDECIDIBILI». Quest’ultimo caso ha fatto il giro del mondo, perché si è trattato di un caso di fecondazione eterologa “involontaria”: dopo un incredibile scambio di embrioni tra due coppie, i gemellini sono venuti al mondo nell’utero della donna “sbagliata”. Ora i due bambini crescono nella famiglia della madre che li ha partoriti e suo marito, ma i genitori genetici non si sono arresi e si sono rivolti ai tribunali per riavere i loro embrioni, ormai bambini. Secondo il Comitato nazionale di bioetica, «entrambe le coppie hanno buone e fondate ragioni» per reclamare i gemelli. Per questo «dichiara “indecidibile”, da un punto di vista bioetico, un’attribuzione netta di maternità e paternità».

DRAMMI ESISTENZIALI. Al di là del tragico errore, che continua a far soffrire sei persone, il caso getta un fascio di luce sulla realtà dell’eterologa, al di là della propaganda progressista, cioè su una tecnica che consente di procreare bambini con il patrimonio genetico di altri, in tutto o solo in parte. Per quanto si cerchi di nasconderlo, figli, famiglie e persone coinvolte vanno incontro a drammi esistenziali e di identità non indifferenti.

FIGLI DELLA PROVETTA. A sostenerlo non sono innanzitutto i detrattori della tecnica per motivi culturali o morali, ma gli stessi figli dell’eterologa. Come Stephanie Raeymaekers, 36 anni, fondatrice dell’associazione “Donorkinderen” e nata in provetta: «Io mi sento come un prodotto comprato al supermercato dal quale è stata tagliata via l’etichetta», ha dichiarato in un’intervista a Tempi. La donna belga spiega benissimo i drammi a cui i bambini vanno incontro, non potendo conoscere il proprio (o i propri) genitori/”donatori” biologici: «[Quando ho saputo che ero nata in provetta] mi sono arrabbiata moltissimo, perché i miei genitori mi avevano mentito per 25 anni su informazioni fondamentali per me, su chi mi aveva realmente fatto. Poi la rabbia con il tempo è scemata e sono comparse tantissime domande: chi è davvero mio padre? È vivo? È morto? Quanti fratelli e sorelle ho davvero? Ha fornito il suo sperma ad altri? Gli assomiglio? Mi pensa? So che non mi conosce, magari però pensa ai figli che sono stati concepiti con il suo sperma. L’ha fatto per soldi? Per aiutare gli altri? Prima la mia vita era semplice, ora è molto più complicata».

RAPPORTI ROVINATI. Stephanie spiega anche come questa tecnica di concepimento abbia rovinato il rapporto con suo padre, ad esempio: «Io voglio bene ai miei genitori e voglio bene a mio padre, che resterà sempre tale, anche se non mi ha concepito biologicamente. Però i rapporti sono stati influenzati, per forza di cose. Quando l’ho saputo, mio papà mi ha detto: “Il fatto che tu non sia mia biologicamente interferisce nel rapporto che io ho con te. Tu infatti mi ricordi costantemente che io sono sterile”». Oggi la donna belga si batte per cambiare quelle «leggi ingiuste che non considerano i diritti dei bambini, ma vedono i bambini come un diritto». Di casi come quelli di Stephanie ce ne sono a centinaia.

Redazione Papaboys (Fonte www.tempi.it/Leone Grotti)

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