«Le persecuzioni contro i cristiani sono in aumento» dice l’avvocato Mushtaq Gill. 40 cristiani sono ora nel braccio della morte
«La vita per le minoranze religiose in Pakistan è segnata da violenze, abusi dei diritti umani fondamentali. È una questione antica ed è un problema sistemico che ha radici storiche. Il governo dovrebbe prenderne piena coscienza e agire di conseguenza»: è l’appello dell’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, trentottenne attivista dei diritti umani e difensore di numerosi cristiani coinvolti, loro malgrado, in processi giudiziari che li vedono come imputati, del tutto innocenti, nei tribunali pakistani.
La circostanziata denuncia di Gill arriva in vista della Giornata nazionale dedicata alle minoranze religiose in Pakistan. Si celebrata l’11 agosto di ogni anno, e si rivolge all’esecutivo guidato da Imran Khan, il primo ministro del Paese.
Come persona impegnata e attiva nel sistema giudiziario l’avvocato, rileva che «non si tratta di casi isolati: le statistiche dicono che le violenza sui cristiani e gli episodi di intolleranza sono in aumento in Pakistan. Basta guardare le cronache. Molte famiglie oggi soffrono solo a causa della loro fede cristiana».
La giornata dedicata alle minoranze, allora, «serve proprio a ricordare che cittadini cristiani, o di altre religioni non sono cittadini di seconda classe — ricorda — ma hanno i medesimi diritti e doveri , devono godere di pari opportunità e vivere in Pakistan una vita serena, all’insegna di libertà, giustizia e benessere».
E mentre l’esecutivo di Imran Khan può vantare dichiarazioni di principio nel promuovere i diritti e l’uguaglianza delle minoranze religiose, «l’emergenza per la difesa delle minoranze non è cessata: abbiamo bisogno del supporto di organizzazioni internazionali, nonché di una indagine Onu che possa fare luce sulla situazione, rispondendo alle preoccupazioni sul mancato rispetto della libertà religiosa», afferma il legale.
Il cahier de doléances è lungo. Gill si riferisce ai 200 cristiani condannati a morte ingiustamente in base alla nota “legge di blasfemia”, che punisce il vilipendio all’islam o al profeta Maometto. La normativa, nel codice penale pakistano, viene però troppo spesso tirata in ballo in modo strumentale per liberarsi di avversari in dispute che non hanno nulla a che vedere con la religione.
Tra i casi elencati, quello dei coniugi cristiani Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar. Genitori di quattro figli, sono stati condannati a morte nel 2014 per l’assurda accusa di aver inviato sms blasfemi. «L’uso improprio della legge di blasfemia resta una piaga nella società che le istituzioni dovrebbero sanare.», nota l’avvocato Gill.
«La vita di un cristiano o di un indù sembra valere ben poco. Lo Stato non fa abbastanza per smentire o contrastare questa mentalità», osserva, ricordando il caso del ragazzo cristiano Bilal Masih percosso a morte dai suoi datori di lavoro. O come rivela il caso di Saima Sardar, infermiera cristiana che ha rifiutato di convertirsi all’islam e di sposare un uomo musulmano e per questo è stata uccisa di recente a Faisalabad.
Di Paolo Affatato per Tempi.it
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