Uno degli errori più gravi della storiografia moderna è quello di fare la storia come se Dio non esistesse o come se Egli non ne fosse il vero Padrone. Una pagina della storia della Polonia – nel centenario del riacquisto dell’indipendenza – ci può premunire contro questo errore.
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Cento anni fa, con la fine della prima Guerra mondiale, tramontava irrevocabilmente un mondo. A dire il vero, quel tramonto si vedeva già da tempo e poi, lungo quei quattro anni sanguinosi, il vecchio mondo agonizzò dolorosamente, non soltanto sui campi di Verdun e Tannenberg, ma anche – e soprattutto – nelle camere dei governi, negli incontri dei diplomatici, nelle riunioni segrete delle massonerie.
Non era solo il crollo dei sogni ottimisti dell’Ottocento. Del resto, simbolicamente, quei sogni ottimisti naufragarono insieme al “Titanic”, ancor prima dell’inizio della Guerra. Drammatica, nel 1918, fu la caduta dell’ultimo impero cattolico: quello asburgico di Austria-Ungheria. Non erano gli Asburgo i colpevoli dello scoppio della Guerra; non erano loro (a differenza del Kaiser prussiano) a macchiarsi con l’uso di armi abominevoli come il gas o – peggio ancora – con l’organizzar dietro le quinte dell’avversario una rivoluzione bolscevica (un gas ben più omicida e di più lunga durata rispetto a quello usato nella battaglia di Ypres!).
Anzi, al dire di un nemico della Chiesa, Anatole France: «L’unico uomo onesto apparso durante la guerra» fu un Asburgo, fu un imperatore cattolico. «Egli però – continua il medesimo France – era un santo e dunque nessuno lo ascoltava». Ci si potrebbe chiedere stupiti come mai, dunque, con la fine della Guerra fu l’impero a doverla pagare più cara.
Tuttavia ciò non dovrebbe stupire se si considera la grande Guerra come una tappa di una plurisecolare Rivoluzione anticristiana; tappa che, appunto, doveva spazzare via l’imperatore cattolico, benché (anzi, proprio perché!) «l’unico uomo onesto».
Questo Stato, che per due secoli (XVI-XVII) aveva costituito “l’antemurale della Cristianità” respingendo più volte le invasioni turche, scomparve dalle carte d’Europa verso la fine del XVIII secolo, spartito – a tre riprese – tra i tre vicini più potenti: Prussia, Russia ed Austria.
Fu una scomparsa preceduta dalla decadenza della potenza politica e delle virtù nazionali che l’avevano costruita; una scomparsa che servì ai polacchi come un “flagello di Dio”, facendo loro ritrovare, nella penitenza imposta dall’altro, uno spirito più vigoroso, segnato in particolar modo dalla rifioritura della devozione mariana.
Le sorti del movimento indipendentista, invece, vengono diversamente valutate dagli storici polacchi. Molti di essi vedono nel 1918 il coronamento di un lungo processo del quale le pietre miliari furono le varie insorgenze armate contro gli occupanti. Le più grandi furono quella “del Novembre” (1831) e quella “del Gennaio” (1863). Ambedue predisposte dalle massonerie; ambedue finite tragicamente; entrambe servite ai massoni per impegnare altrove l’attenzione delle potenze europee, mentre da qualche altra parte succedevano eventi realmente importanti (nel 1831 in Francia, negli anni sessanta in Italia). Basterebbe ricordare che i due generali a capo dell’insurrezione del 1863 furono ex-ufficiali garibaldini. Agli insorti si distribuivano perfino le “immaginette sante” col ritratto del nizzardo.
Perciò noi scartiamo la tesi che l’indipendenza riacquistata nel 1918 possa essere il frutto tardivo di due disastri (ambedue sconfitte pesanti) rivoluzionari. Dove, dunque, cercare la ragione che ha permesso – oltre alle circostanze politiche esterne – alla Polonia di essere in grado non solo di risorgere, ma anche di respingere di lì a due anni, un’altra volta, un’invasione barbarica che minacciava l’Europa intera?
Forse la risposta migliore è quella che ci suggerisce un celebre regista e saggista polacco, Grzegorz Braun. La radice dell’indipendenza sarebbe stata, nientedimeno, l’apparizione mariana di Gietrzwald nel 1877. Era, quello, il momento in cui si tentava di far scoppiare in Polonia una nuova insurrezione; un’insurrezione che questa volta sarebbe potuta facilmente degenerare in una guerra mondiale.
Era il momento in cui i russi combattevano contro i turchi; gli inglesi preparavano il proprio ingresso in guerra; i tedeschi già avevano deciso di approfittare dell’eventuale insurrezione in Polonia per invadere la Russia.
Proprio per questo, il generale von Moltke, capo dell’esercito tedesco, aveva già cominciato il trasloco delle truppe vicino alla frontiera russa: proprio nelle zone dove effettivamente sarebbero state combattute le prime battaglie tedesco-russe della prima Guerra mondiale, quarant’anni più tardi. Gli inglesi, da parte loro, sostenevano coi finanziamenti le cerchie insurrezionali polacche, sperando che in una nuova bufera europea sarebbero stati loro a guadagnare di più.
Proprio in quel momento, con una sola mossa tattica, la celeste Stratega capovolse totalmente la situazione. Apparendo in un piccolo villaggio, proprio vicino alla ferrovia usata da von Moltke per il trasferimento delle truppe, Ella parlò in polacco (sebbene il parroco del luogo fosse
un tedesco). La voce di questa apparizione si sparse a macchia d’olio. In pochi mesi a Gietrzwald arrivarono centinaia di migliaia di pellegrini. Attraversavano legalmente o illegalmente le frontiere; venivano a piedi o con i carri, ma anche con la ferrovia. Il numero di pellegrini era tale che tutta l’operazione di von Moltke venne paralizzata.Ma di cosa parlava la Madonna? Forse Ella, la Regina della Polonia, veniva a incoraggiare il suo popolo e chiamarlo a prendere le armi contro gli occupanti; e soprattutto contro l’odiato protestante prussiano? No. Il messaggio di Gietrzwald era quasi banale: lavorare bene, pregare bene, non bere troppo. Un programma totalmente opposto a quello che nello stesso momento proponevano, con l’aiuto dei soldi inglesi, i rivoluzionari. Un programma meno attraente, ma molto più efficace.
Bismarck e von Moltke non capirono per niente che cosa stesse accadendo. Certo, “il cancelliere di ferro”, autore del Kulturkampf e acerrimo nemico del Cattolicesimo, Bismarck, non aveva preso in considerazione un intervento diretto della Madonna mirato a confondere le sue strategie. Gli ufficiali tedeschi pensavano ad un’operazione di sabotaggio organizzata da parte dei russi. In ogni caso, la guerra – per questa volta – non scoppiò. E non scoppiò nemmeno l’insurrezione polacca. L’entusiasmo delle masse, necessario per far scoppiare una rivoluzione, era già impegnato altrove. Perfino dall’America i polacchi venivano a Gietrzwald per pregare. Facevano i loro propositi rispondendo al semplicissimo appello della loro Regina.
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Nel 1918 le circostanze politiche (in verità abbastanza tristi) erano tali che la Polonia poteva risorgere. Ciò era ormai deciso: durante la guerra gli Stati, anche quelli che 120 anni prima avevano spartito tra di loro le terre polacche, riconobbero la necessità e la ragion d’essere di uno Stato polacco indipendente.
Come abbiamo visto, il 1918 trova la Polonia con una ricca storia rivoluzionaria del secolo precedente, ma con uno spirito altrettanto cattolico e con una devozione mariana fortissima. A dire il vero, sia il dittatore Pi?sudski, sia – ancor più – i suoi più stretti collaboratori; ed anche diversi dei suoi oppositori (come il capo dei nazionalisti Roman Dmowski) non appartenevano propriamente alla categoria degli uomini devoti. D’altro canto, cosa sorprendente, molti di essi sarebbero morti convertiti. San Massimiliano M. Kolbe, inizialmente critico ferreo di Pi?sudski (ed a ragione!), dopo la morte del maresciallo poté ricordare che egli morì da cattolico, devotissimo della Madonna.
Ma accanto agli uomini in terra che con il loro lavoro, con l’ingegno, talvolta con vera genialità, con eroismo o con intrighi, si sono impegnati a ricostruire la Polonia dopo il 1918, non mancò la Regina stessa. E ciò si vide molto bene proprio quando la giovanissima repubblica venne invasa dal poderoso esercito rosso della Russia comunista. Esercito che – al dir del generale di cavalleria bolscevica Budionny – non avrebbe dovuto fermarsi se non a Parigi. Eppure, quell’esercito venne distrutto nella battaglia di Varsavia, nel giorno dell’Assunta dell’anno 1920. In Polonia questa battaglia viene denominata “il miracolo della Vistola”; miracolo non solo perché uno Stato appena ricostituito (e da tre parti diverse, dove fino a due anni prima vigevano sistemi amministrativi, giuridici e monetari diversi) respinse un’invasione sì grande, ma anche perché durante la stessa battaglia apparve nuovamente la Madonna (come afferma anche il generale polacco e terziario francescano Haller), mettendo in fuga i bolscevichi.
Sicuramente uno degli errori più gravi della storiografia moderna – purtroppo anche quando si tratta di libri scritti da autori cattolici – è fare la storia come se Dio non esistesse, come se Egli non fosse il vero Padrone della storia.
L’apparizione di Gietrzwald, letta nell’insieme del suo contesto storico, ci dà una indicazione importante per controbattere questo errore. Un’apparizione che potrebbe sembrare quasi insignificante (sebbene sia l’unica apparizione mariana in Polonia riconosciuta dall’autorità della Chiesa), che invece capovolge tutta la storia: non solo di un Paese, ma – possiamo dirlo – del mondo intero, ritardando lo scoppio della grande Guerra di ben quarant’anni.
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C’è da meravigliarsi di questa mossa strategica geniale della “Debellatrice di tutti gli errori”? Non più di tanto, se prendiamo in considerazione che è la stessa Madonna che quarant’anni dopo Gietrzwald entrò nuovamente nella Storia universale (Fatima, 1917), proponendo i rimedi per le nuove afflizioni. C’è piuttosto da meravigliarsi che la cosa vanga considerata in questa luce solo dopo 140 anni dagli avvenimenti. E chissà quante simili sorprese potremmo scoprire nella Storia, se volessimo mettervi un po’ di spazio per il soprannaturale!
L’11 novembre di ogni anno, le strade di Varsavia sono attraversate da un’enorme “Marcia dell’Indipendenza”. Sventolano le bandiere, risuonano i canti. Ma, grazie a Dio e alla Madonna, i partecipanti si ricordano di quello che è dimenticato da molti storici. L’anno scorso il motto della Marcia fu “Noi vogliam Dio”; quest’anno – nel centenario dell’Indipendenza – “Dio, Onore, Patria”.
Fonte www.settimanaleppio.it/Giuseppe Butrino
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