Stati Uniti e Russia hanno raggiunto a Ginevra un accordo per una tregua tra Governo di Damasco e gruppi dell’opposizione. “Ma se i bombardamenti non cessano e non si ascolta la società civile siriana non si va da nessuna parte”, è il commento dell’attivista e scrittore italo-siriano Shady Hamadi.
Cinque anni di conflitto civile incessante. Un Paese ferocemente dilaniato. Quasi mezzo milione di vittime, metà della popolazione civile in fuga. Quasi sei milioni di siriani sono espatriati, sei milioni e mezzo hanno dovuto abbandonare le loro case per rifugiarsi in altre zone della Siria. Sei milioni di bambini hanno estremo bisogno di assistenza. La più grave tragedia umanitaria dalla Seconda guerra mondiale, secondo le Nazioni Unite.
Ora, per la Siria si apre uno spiraglio di speranza, una prospettiva di cambiamento. Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un accordo che dovrebbe rappresentare un punto di svolta verso la fine della guerra. Dopo una lunga trattativa a Ginevra, il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri di Mosca Serghei Lavrov hanno annunciato un cessate il fuoco fra regime di Damasco e forze dell’opposizione che dovrebbe iniziare lunedì 12 e al quale, se rispettato, seguirà l’inizio di una fase di transizione politica. La tregua permetterà di portare aiuti umanitari nelle zone dove l’emergenza è più grave. Il Governo ha accettato l’accordo: a questo punto Bashar al Assad si dice disposto a collaborare.
Eppure, questo accordo lascia delle perplessità. A esprimere dei dubbi è Shady Hamadi, 28 attivista e scrittore italo-siriano, autore di due libri, La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana (2013) ed Esilio dalla Siria. Una lotta contro l’indifferenza (2016). «L’accordo di Ginevra è stato preceduto da un altro tavolo negoziale, che si è svolto il 7 settembre all’Institute for strategic studies di Londra», racconta Hamadi, «un gruppo di rappresentanti dell’opposizione hanno presentato un piano di transizione per il dopo-Assad che prevede tre fasi: la prima è il cessate il fuoco di sei mesi in tutto il Paese per individuare le figure che possano comporre un nuovo Governo transitorio. E fra queste figure si pensa ad alcuni esponenti del Governo di Damasco neutri, non macchiati, non collusi con il regime. Il piano prevede che Bashar al Assad comunque se ne vada. La seconda fase: 18 mesi nei quali organizzare la gestione del Governo di transizione. La terza fase è quella delle libere elezioni parlamentari e presidenziali. Uno dei punti chiave è il mantenimento della sovranità e dell’unità del Paese tenendo conto anche della presenza dei curdi».
Un piano differente da quello presentato due giorni dopo a Ginevra, concordato da Mosca e Washington. E che Hamadi giudica ambiguo. «Gli Stati Uniti e la Russia si sono accordati per condurre una guerra contro l’Isis e contro Jabhat al-Nusra – l’altro gruppo fondamentalista islamico presente in Siria affiliato ad Al Qaeda – costituendo un centro di comando congiunto contro i gruppi terroristici». L’accordo prevede la continuazione di raid e bombardamenti in alcune zone specifiche della Siria per azioni dirette contro i gruppi jihadisti. Poche ore dopo la sigla dell’accordo, almeno 90 persone sono morte sotto i raid aerei nella zona di Idlib, nel Nord della Siria, e ad Aleppo.
Dal 2015 la provincia di Idlib è nelle mani di un’alleanza jihadista. «Eppure proprio lì», spiega Hamadi, «è presente e attiva una forte resistenza civile, formata soprattutto dai giovani, anti-Assad ma anche contro i jihadisti. Due mesi fa mi è stato raccontato che nella città di Idlib c’è stata una grande sollevazione dei giovani contro un tunisino che voleva picchiare una donna. Continuare i bombardamenti non è la soluzione, la conseguenza è solo quella di alimentare e inasprire ancora di più il fondamentalismo. E si finirà per annientare anche la resistenza civile».
E poi c’è il problema di Aleppo, città martoriata: «I quartieri assediati non saranno compresi nella tregua. Se non si mette fine ai raid che colpiscono la popolazione civile, questo accordo non porterà da nessuna parte». Purtroppo, commenta il giovane attivista, si continua ad avere una visione della Siria appiattita fra fondamentalismo da un lato e regime dittatoriale dall’altro. «E a non voler dare ascolto alla società civile siriana che rivendica una Siria libera».
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Giulia Cerqueti)
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