Il Patriarca maronita, il card. Bechara Boutros Rai, ha dichiarato la propria intenzione di accompagnare Papa Francesco durante il pellegrinaggio in Terra Santa, in programma dal 24 al 26 di questo mese di maggio. L’annuncio riferisce l’agenzia Terrasanta.net-, ha scatenato violente polemiche in Libano. Tra il Paese dei cedri e Israele non esistono relazioni diplomatiche e anzi le due nazioni sono formalmente ancora in stato guerra, anche se nel 1949 è stato firmato un armistizio. Nessun dignitario religioso libanese si è mai recato in Israele dopo l’annessione della città vecchia di Gerusalemme (il cui controllo è stato assunto dagli israeliani nel 1967, al termine della guerra dei Sei giorni – ndr). «Il Papa si reca in una diocesi sotto la giurisdizione del patriarca. È perciò normale che il patriarca lo accolga e visiti egli stesso le parrocchie della diocesi», ha dichiarato il card. Rai, riferendosi ai 10 mila maroniti che risiedono in Terra Santa. Se si considera che i turisti che si presentano alle frontiere libanesi con un passaporto munito di visto israeliano non possono entrare nel Paese e che i cittadini libanesi che si rechino in Israele possono essere perseguiti per alto tradimento, non stupisce che il patriarca Rai subisca ora gli strali dei partiti nazionalisti e anti-israeliani. Primo fra tutti Hezbollah, il movimento politico-religioso sciita nato per opporsi all’occupazione israeliana del sud del Libano nel 1982 e che si concepisce come avanguardia della lotta armata contro Israele. Il giornale As-Safir, vicino al movimento, sabato 3 maggio titolava Un peccato storico: Rai va in Israele. La polemica viene rinfocolata dalla notizia che il patriarca stringerà le mani dei massimi dirigenti politici israeliani durante la cerimonia di benvenuto al Papa all’aeroporto Ben Gurion, di Tel Aviv.
Un altro giornale, Al-Akhbar, scorge nel passo del patriarca una possibile deriva verso la «normalizzazione dei rapporti con l’occupazione israeliana». Una delegazione di parlamentari cristiani, contrari al viaggio, ha reso nota l’intenzione di incontrare il nunzio apostolico in Libano (mons. Gabriele Caccia – ndr) per spiegargli le possibili ricadute negative della decisione del card. Rai. Da parte loro, i maroniti hanno prontamente reagito insistendo sul «dovere» che incombe sul loro capo spirituale. Il patriarca «non si pone l’obiettivo di firmare un trattato di pace con Israele», ha osservato il vescovo maronita Samir Mazloum parlando all’emittente televisiva Otv. Il presule ha anche annunciato l’incontro del patriarca con il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, a garanzia del sostegno dei cristiani del Libano alla lotta dei palestinesi. Nel mezzo di tanta effervescenza, il patriarca, che al momento si trova in Francia, insiste sul carattere religioso e non politico della sua visita (una spiegazione analoga fu fornita dal card. Rai nel febbraio 2013 quando infranse un altro tabù, recandosi per la prima volta in Siria – ndr). Proprio oggi, 5 maggio, il quotidiano An Nahar pubblica una nuova dichiarazione, nella quale il patriarca afferma: «So bene che Israele è uno Stato nemico e che occupa ancora il nostro territorio; rispetto le leggi libanesi». Rai non rinuncia però ad invitare i connazionali a concentrarsi su questioni ben più importanti (come l’elezione del nuovo presidente della Repubblica), piuttosto che creare altre contese nell’intento di minare l’unità nazionale. In un comunicato della curia patriarcale si precisa inoltre che già «l’armistizio del 1949 prevede che il vescovo maronita di Terra Santa possa recarsi in Libano e in Palestina». Inoltre vi è un accordo tacito con le autorità libanesi che consente ai religiosi di andare in missione in Terra Santa, sia varcando le frontiere terrestri (transitando per la Giordania) sia passando dall’aeroporto di Tel Aviv. Le polemiche di questi ultimi giorni ribadiscono, una volta di più, che in quel piccolo Stato multiconfessionale che è il Libano non è semplice separare religione e politica. a cura della Redazione Papaboys