Monsignor Gianni Ambrosio, vicepresidente della Comece: “Se ci si limita al solo aspetto del funzionamento economico e politico, il Continente sarà incapace di offrire speranza e futuro ai cittadini. Se la cultura europea è impegnata più nella ‘decostruzione’ dell’umanesimo europeo che non nella sua valorizzazione, diventerà difficile sentirsi cittadini europei”. I cristiani chiamati a partecipare.
L’imminenza del voto per il nuovo Parlamento Ue fornisce l’opportunità di un approfondimento sui temi che ruotano attorno all’integrazione europea, a partire dalle sue radici storiche fino alle attuali difficoltà entro un contesto di crisi economica. Con monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vicepresidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), tocchiamo alcuni di questi nodi.
Partiamo dal termine “crisi”, accostato in questi anni, a torto o a ragione, all’Europa. Lei ritiene, come sostengono molte voci, che l’Unione europea sia stata un “veicolo” o un moltiplicatore della recessione, oppure, al contrario, che in sede Ue si siano cercate risposte a problemi comuni ai Paesi membri?
“Purtroppo il termine ‘crisi’ è appropriato. Lo è innanzi tutto nel senso più comune: l’Europa vive un momento di grande difficoltà, a causa della sua situazione politica, economica e occupazionale. Ciò crea smarrimento presso molti cittadini europei. Il termine ‘crisi’ è poi appropriato anche nel suo senso etimologico: la crisi indica una chiara esigenza di valutazione e di scelta. Credo che l’Europa, ancora una volta, si trovi a una svolta. Un’altra Europa è possibile: una costruzione tecnocratica non è una ‘casa’ in cui vivere. Lascio agli osservatori politici la risposta alla domanda se l’Ue abbia reso più complicato affrontare la crisi o ne abbia attenuato gli effetti. Le difficoltà che stiamo vivendo dicono che l’Ue non ha dato significative risposte. Non solo per questioni di scarsa politica economica o di scarsa capacità decisionale, come giustamente molti osservano. Ma anche per l’oscurarsi del cielo europeo”.
In che senso?
“Mi pare che sia necessario ricuperare il grande progetto di pacificazione e di unificazione europea che negli anni Cinquanta venne proposto e attuato da alcuni cristiani lungimiranti, dopo l’immane tragedia di due guerre mondiali sorte in Europa. Uomini come Schuman, Adenauer e De Gasperi hanno saputo guardare avanti, lanciando un progetto di pacificazione, di unificazione, di collaborazione. Quel cielo europeo è tornato visibile in alcuni passaggi significativi, come ad esempio dieci anni fa con l’allargamento dell’Unione ai Paesi dell’Est. Ma spesso il cielo tende a scomparire e allora prevale il disimpegno rispetto al bene comune europeo. Questa visione è miope, e rischia di farci ritornare al passato, dopo il grande sforzo compiuto per assicurare la pace, promuovere l’integrazione, favorire la solidarietà”.
Una seconda parola che circola senza sosta è “populismo”, non di rado abbinata a nazionalismo, euroscetticismo… Come nascono questi sentimenti? Quali le possibili risposte da parte della politica?
“È impegnativa una risposta, anche perché il populismo in Europa tende a variare da Paese a Paese. Ad esempio, in Italia il populismo è anti-politica, anti-partiti, anti-casta. Comunque, l’euroscetticismo, più o meno populistico, può sorgere da fattori contingenti, come l’eccessiva velocità dell’allargamento, la complessità del cammino di integrazione, l’idea che il progetto europeo è imposto dall’alto. Può sorgere come reazione alla globalizzazione: il risveglio dei nazionalismi, anzi dei regionalismi, è assai evidente. Inoltre nelle nostre società l’individualismo sta guadagnando molto terreno. Può sorgere poi da una certa tendenza a egemonizzare le decisioni da parte di uno Stato membro dell’Unione (vedi la Germania…). Può infine sorgere da fattori meno contingenti, legati a una diversa concezione dell’Europa: di fronte a una tendenza che omologa tutti e tutto, di fronte a decisioni delle varie Corti europee ove si esasperano diritti astrattamente considerati, molti non si sentono accolti, anzi avvertono di non essere rispettati nella loro tradizione culturale”.
Ci fornisca altri elementi interpretativi…
“Direi che se ci si limita al solo aspetto del funzionamento economico e politico, l’Europa sarà incapace di offrire speranza e futuro ai cittadini. Se la cultura europea – altra grave questione – è impegnata più nella ‘decostruzione’ dell’umanesimo europeo che non nella sua valorizzazione, diventerà difficile sentirsi cittadini europei. La crisi che stiamo attraversando può aiutarci a fare passi in avanti e compiere scelte nella direzione di quei valori-chiave, come l’unità nella diversità, la collaborazione solidale, l’impegno per la giustizia, che sono all’origine del percorso di integrazione. Ecco la necessità di favorire la reciproca comprensione e di ritrovare un’anima comune, riacquistando il meglio dell’eredità spirituale europea”.
In un recente documento la Comece ha invitato i cittadini a recarsi ai seggi per l’elezione del Parlamento europeo. Quale, a questo riguardo, il ruolo dei cristiani?
“È dovere di ogni cristiano impegnarsi per la costruzione della polis europea. Tutti i Pontefici, da Pio XII in avanti, hanno seguito, accompagnato e sostenuto il progetto di unificazione europea. Giovanni Paolo II, sostenitore dell’Europa ‘a due polmoni’, riconosceva nel progetto europeo, pur cosciente dei suoi limiti, la grande tensione verso la pace, l’unità, la giustizia, la solidarietà. Ogni cristiano è chiamato a contribuire alla realizzazione di questi valori che corrispondono allo spirito del Vangelo e fanno parte della dottrina sociale della Chiesa”. Di Gianni Borsa per Agensir