R. – Diciamo, da una parte, un Natale aperto alla speranza: questo Dio che è venuto a dare speranza, a portare un po’ di pace, a portare soprattutto un po’ di giustizia in un terreno che è avvelenato: c’è la cosiddetta Terra dei fuochi; e poi per tanti disagi sociali che ormai toccano tutta la popolazione. Il messaggio che vogliamo far passare è quello di non arrenderci, di non farci catturare dal pessimismo; e dall’altra parte, però, è anche necessario focalizzare questi problemi perché c’è responsabilità da parte di tutti – della Chiesa, delle istituzioni, di tutti – a prendere a cuore questo problema e cercare di trovare una soluzione adeguata.
D. – A Napoli, la speranza rischia di essere semplicemente un sogno, o può essere una realtà concreta?
R. – Abbiamo cercato, insieme anche con le istituzioni, di dare dei segni, dei segni di speranza, che però abbiano dei contenuti. Così abbiamo creato la Cittadella dell’artigianato per i giovani, abbiamo fatto la Casa di Tonia, dove accogliamo le mamme abbandonate con i loro bambini; un call-center di solidarietà; un marketing di solidarietà; e, soprattutto per i bambini, abbiamo organizzato ormai già da qualche anno, un accompagnamento per evitare che marinino la scuola, alle volte, perché? Perché sono poveri, perché i genitori non hanno i soldi per comprare un grembiulino, le scarpine, i quaderni … Sono circa 500 bambini, e allora all’inizio dell’anno diamo loro un kit e li accompagniamo per tutto l’anno, in modo da poterli seguire …
D. – Voi oggi portate questa speranza da Napoli a Piazza San Pietro attraverso il presepe, che è una delle realtà più alte della cultura e della tradizione napoletana …
R. – Ecco: il presepe, per esempio, fa parte di quelle virtuosità, di quelle eccellenze napoletane che intanto – grazie a Dio – si tramandano di padre in figlio: un artigianato che trova un terreno molto fertile; e poi, rappresenta l’impegno, l’inventiva, la cultura, quella umanità che è tipica proprio del nostro popolo.
D. – Che cosa si aspettano i napoletani e i campani da questo Natale?
R. – Fatti un po’ più concreti da parte di tutti. Concreti nel senso che si deve andare incontro a queste urgenze che ormai possono esplodere, e che portino una ventata nuova. Napoli ha bisogno di respirare un po’ meglio di come ha fatto finora, perché solo con l’impegno concreto, con progetti concreti, si possono affrontare anche questo Natale e il prossimo anno, con una prospettiva più positiva e più serena.
D. – Lei è preoccupato del disagio sociale che in tante parti d’Italia, non solo a Napoli, si sta esprimendo attraverso vari movimenti di cittadini?
R. – Sono preoccupato perché sono grida che vengono dalla gente, dalla povera gente; aumenta a dismisura, a Napoli in modo particolare, la povertà, cioè il numero di chi non solo non riesce più ad arrivare alla fine del mese, ma di chi non riesce a portare un piatto caldo al giorno in famiglie con figli, famiglie che vengono nelle nostre Caritas, nei nostri centri parrocchiali dei canali diocesani, per sopravvivere: bè, questo fa meditare, fa riflettere e fa pregare perché il Signore ci aiuti e ci dia la forza di superare queste difficoltà.
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