All’inizio di questo millennio (anno 2000), le statistiche nazionali contabilizzarono ben 256.546 incidenti stradali, con 7.061 morti e 360.013 feriti. Praticamente ogni giorno morirono sulle strade italiane 19 persone e ne rimasero ferite 986 (41 feriti all’ora, dei quali la metà gravi e un terzo con invalidità permanenti). Passano gli anni e il bilancio di morti e feriti sulle strade progressivamente migliora, con una tendenza decrescente abbastanza significativa. Gli incidenti stradali nel 2013 sono infatti scesi a 181.227 (75mila in meno rispetto al 2000), i morti sono dimezzati a 3.385 (9 al giorno), i feriti scesi anche loro a 257.421 (705 al giorno contro i quasi mille di 15 anni prima). Ci sarebbe di che rallegrarsi. Un calo degli eventi del 25% in quindici anni (e del 50% dei morti) significa che guidiamo tutti un po’ meglio, siamo un po’ più prudenti, abbiamo forse imparato che i “punti” della patente sono preziosi e che vanno conservati con maggiore cura. Ma i numeri comunque elevati della mortalità stradale indicano che non abbiamo ancora raggiunto un livello di civismo e destrezza nella guida tali da ridurre drasticamente il sempre drammatico bilancio di sangue a seguito di investimenti, scontri frontali, passaggi col rosso, eccessi di velocità, uscite fuori stradale rovinose.
Alcool, droghe, omissione di soccorso: la gente è stanca. Dentro questo bilancio, che lascia sperare, c’è però un dramma nel dramma. Perché purtroppo molti incidenti stradali sono causati da un mix di velocità, stanchezza, distrazione (ad esempio per l’aumento dell’uso del cellulare mentre si guida), ma soprattutto perché parecchi guidatori si mettono al volante dopo aver assunto alcool e droghe. È un fenomeno drammatico, connotato da incidenti nei quali il “pirata della strada” non si ferma a soccorrere i feriti, ma fugge riuscendo spesso a far perdere le sue tracce. Quando questi “pericoli pubblici” vengono invece individuati e arrestati, si scopre che spesso sono alla guida dopo aver assunto dosi massicce di alcool o di droghe, o di tutte e due insieme: una follia!. Lo scorso anno gli incidenti con omissione di soccorso sono stati 1.009, con ben 119 vittime tra le quali 46 erano pedoni “falciati” sulle strisce zebrate. I feriti sono stati 1.224, molti dei quali gravi o gravissimi con una percentuale di invalidità permanenti più elevata degli incidenti – per così dire – “normali”. Di fronte a questa pesantissima situazione, è da diversi anni che i familiari delle tante vittime di questi pirati della strada stanno invocando una legge speciale, che ora sta per essere approvata. Parliamo del provvedimento che introdurrà nel nostro ordinamento penale il reato di “omicidio stradale”. L’idea di introdurre questo nuovo reato è anche dovuta alla constatazione che, nonostante il recente inasprimento delle pene per guida in stato di ebbrezza, in realtà questo tipo di incidenti è andato aumentando.
La futura legge sull’ “omicidio stradale”. Il dibattito su questa novità legislativa è stato ampio e anche difficile. Da un lato i sostenitori dell’ “omicidio stradale” nudo e crudo, con pene pesantissime e la sospensione a vita della possibilità di guidare. Dall’altra coloro che, pur d’accordo nel colpire duramente i guidatori imprudenti, volevano introdurre delle attenuanti. Il risultato che sembrerebbe profilarsi nella discussione in corso al Senato del relativo ddl è che probabilmente dalla commissione giustizia uscirà una pena tra gli 8 e i 12 anni di reclusione (pena da scontare) per chi si macchierà di “omicidio stradale” o di “lesioni personali stradali” gravi. I senatori hanno discusso a lungo, negli ultimi mesi, sull’ipotesi di sospendere a vita la patente per questi assassini stradali. Sembra che stia invece imponendosi una visione contraria al cosiddetto “ergastolo della patente”, in quanto una tale pena irreversibile conterrebbe profili di anticostituzionalità: una delle obiezioni sollevate al riguardo è che ad esempio un assassino che ha ucciso durante una rapina può scontare 15-20 anni e a lui la patente non viene revocata. Mentre un “assassino stradale”, perdendo totalmente il diritto a guidare, sarebbe discriminato. I senatori sembrano optare per pene accessorie più pesanti (dai 20 ai 30 anni se ci si mette alla guida in stato di ebbrezza o avendo assunto droghe). La legge ha ancora bisogno di perfezionamenti e dovrà passare al vaglio anche della Camera.
Le associazioni delle “vittime stradali” e il ruolo dei pedoni. Sono atroci le testimonianze che si leggono nelle cronache sulle famiglie dei morti, specie giovani: padri e madri distrutti, figli e figlie disperati perché l’omicida del loro congiunto è fuggito e di lui non c’è traccia. Quando viene preso, spesso la condanna è lieve e per omicidio “colposo”. Così se la cava con tre-quattro anni di pena. Poi, con le varie attenuanti, sconti di pena e patteggiamenti, spesso va a finire che sconta “zero” giorni di carcere. Se ne parla, ad esempio, nei giornali o sui siti dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, o dell’Unione vittime della strada, o sui vari blog dentro Facebook (Associazione mamme coraggio ecc.). C’è anche da registrare un elemento poco considerato dall’opinione pubblica. È vero che la responsabilità maggiore è degli automobilisti; ma, bisogna ammetterlo, anche i pedoni specie nelle città più trafficate, a volte appaiono inconsapevoli dei pericoli a cui vanno incontro. Infatti – spiega un avvocato che vuole mantenere l’anonimato – “spesso nel ricostruire le dinamiche degli incidenti si scopre che è vero che l’autista magari andava a più di 50 km l’ora, ma lo stesso pedone investito ha attraversato senza guardare. C’è troppa sicurezza e mancanza di prudenza in chi attraversa. I pedoni dovrebbero loro per primi difendersi, considerando i fattori imponderabili del traffico cittadino”. È anche questo un appello da considerare, un fattore di consapevolezza che non nuocerebbe se fosse più diffuso.