La decisione dell’emirato spiegata come «gesto per consolidare i legami di umanità tra seguaci di diverse religioni».
Guerre, discriminazioni, terrorismo, confessionalismo esasperato. I venti che solcano il Golfo Persico sono questi e tutti ne conoscono la pericolosità generatrice di tensioni e scontri che vanno ben al di là dell’area geografica. È in questo Golfo che avvengono però anche fatti di segno diverso, o per meglio dire opposto. Il primo, nel suo valore simbolico, è il cambio di nome di un’importante moschea di Abu Dhabi. Dedicata al padre dell’emirato, si chiamava da anni moschea dello sceicco Mohammad bin Zayed: ora è dedicata a “Maria, madre di Gesù”. La decisione è stata assunta dal principe ereditario e crea un curioso “angolo di Santa Famiglia” nel cuore della città, visto che non molto distante da lì sorge la cattedrale dedicata a San Giuseppe.
La reciproca comprensione, che è divenuta anche l’oggetto di un dicastero di recente istituzione, ha avuto recentemente un altro sviluppo, altrettanto importante, ad al Ain, sempre nell’emirato di Abu Dhabi, dove la Chiesa locale ha aperto i battenti a molti lavoratori musulmani: nella chiesa sono così stati disposti numerosi tappeti così che 200 operai musulmani hanno potuto pregarvi durante il mese santo del Ramadan. Un gesto che ha richiamato l’attenzione di molti, anche negli uffici governativi. Perché nel momento di caos politico e di esclusivismo identitario che avvelena tanti ambienti dell’area sono questi i gesti che possono, dal basso, influire sul corso degli eventi.
Il cristianesimo, in particolare nestoriano, è stato presente nei territori degli odierni Emirati Arabi Uniti sin dal VII secolo, quando fu costruito il monastero di Bani Yas. La rapida diffusione dell’Islam nell’VIII secolo ha determinato la conversione della popolazione e la scomparsa del cristianesimo, infatti non esiste popolazione di fede cristiana autoctona. Ma i cristiani nel Paese oggi sono circa un milione, più del 13% della popolazione, e nel 2015 le chiese risultavano essere 35, alcune con capaci di contenere migliaia di fedeli e sempre affollatissime. La comunità cristiana, costituita da lavoratori immigrati, è particolarmente numerosa proprio ad Abu Dhabi.
Da ricordare infine che, definiti da molti “tolleranti”, secondo l’Ong britannica “Open Doors” gli Emirati Arabi Uniti figurano al 49esimo posto nella speciale classifica dei Paesi dove è pericoloso essere cristiani.
di Riccardo Cristiano su Vatican Insider
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