Una tradizione secolare. L’unione tra cultura, arte e religione. Il modo per salutare la primavera esaltando il suo simbolo principale: il fiore. L’occasione per visitare nuovi posti e scoprire le usanze del luogo. Giugno non è solo il tempo dei primi bagni e delle scampagnate domenicali.
È anche il mese delle infiorate, manifestazioni che richiamano ogni anno migliaia di turisti e curiosi per vedere all’opera i maestri del disegno artistico a terra. Personaggi diventati famosi in tutto il mondo. Per un fine settimana le vie dei centri storici si trasformano in piccoli musei all’aria aperta. Tripudio di colori di cui, però, sono artefici anche gli abitanti del posto. Insomma, una grande festa di popolo. In occasione delle celebrazioni del Corpus Domini, tantissimi paesi d’Italia fanno a gara per organizzare le opere d’arte più belle realizzate esclusivamente con fiori, sabbie, legni ed elementi naturali.
Alle radici di una tradizione secolare: da festa religiosa a evento folkloristico. Un’usanza che nasce in casa nostra e che qui vede ancora oggi le espressioni migliori. Le prime decorazioni floreali a sfondo religioso risalgono al XVII secolo quando, in piena epoca barocca, venivano allestite a Roma per le celebrazioni solenni del Vaticano. In particolare, è la festa dei Santi Pietro e Paolo – patroni della Capitale – dell’anno 1625 ad essere considerata dagli esperti la prima vera infiorata. A coordinarla Benedetto Drei, responsabile della Floreria. Vaticana. Ma fu con il successore di Drei che presero definitivamente piede: il suo nome è Gian Lorenzo Bernini, artista legato a filo doppio al barocco romano. Proprio per questo la tradizione delle infiorate, almeno all’inizio, si diffuse soprattutto nel Lazio, in particolare nell’area dei Castelli Romani, lo scenario preferito dal Bernini per celebrare feste barocche, di cui i fiori erano elementi imprescindibili. Anche se è il ‘900 il secolo della consacrazione definitiva delle infiorate, quando la continuità nelle installazioni (favorita dalle condizioni storico-politiche) trasformò l’arte floreale da evento in tradizione. Non c’è più nazione al mondo che non abbia la sua infiorata, in qualunque periodo dell’anno. Ma quelle italiane, soprattutto alcune, restano le più importanti, imitate da tutti.
Genzano: l’infiorata conosciuta in tutto il mondo. Il comune laziale – a due passi da Roma e vicinissimo alla sede papale di Castel Gandolfo – e l’infiorata sono una cosa sola. Da oltre due secoli le strade di Genzano per la festa del ‘Corpo del Signore’ (quest’anno si terrà dal 17 al 19 giugno) sono la tela su cui trasferiscono la propria arte i migliori maestri infioratori in circolazione. Per convenzione si ritiene che sia il 1782 il momento in cui l’infiorata di Genzano divenne un evento popolare. Ma già in precedenza le famiglie nobiliari del luogo – con gli Sforza in prima linea – facevano preparare dei quadri floreali davanti al proprio Palazzo in occasione delle tre processioni del Corpus Domini. Fu però a metà dell’800, con la costruzione di Palazzo Amerani (oggi sede del Comune), che l’infiorata assunse la formula attuale: 1890 metri quadri di mosaici floreali adagiati lungo i 250 metri (in leggera salita) che collegano Piazza IV Novembre (la piazza principale del Paese, dove appunto c’è il Palazzo Comunale) alla Chiesa di Santa Maria della Cima. Tredici quadri – più quello che adorna la scalinata della cattedrale – ad argomento religioso o civile, riproduzioni di opere d’arte famose o motivi geometrici che percorrono via Italo Belardi (la ex via Livia). Per completare il tappeto multicolore occorrono circa 500 quintali di petali, fiori e altri elementi vegetali (legni, bacche, ecc). Un lavoro meticoloso che parte il giovedì con la fase del piluccamento (in cui si separano i fiori a seconda della tonalità e si ripongono nelle ceste per essere conservati fino al giorno della festa), entra nel vivo al tramonto del sabato(quando si depongono i fiori), si completa alle prime luci dell’alba di domenica per non far deperire i fiori prima del passaggio della processione e finisce con lo spallamento, la corsa del lunedì sera con cui i bambini ‘distruggono’ il grande monumento alla primavera.
Spello: la sfida artistica si combatte a colpi di fiori. Su un ideale podio delle infiorate più importanti, quella di Spello (in provincia di Perugia) va sicuramente posizionata sul secondo gradino. Se non altro per l’imponenza della manifestazione. Un percorso che si snoda lungo le strade del borgo umbro e che forma un serpentone di circa un chilometro e mezzo. Una passeggiata attraverso la quale si possono ammirare oltre sessanta opere diverse. Anche in questo caso le radici affondano in tempi lontani: si parla del 1831 come prima infiorata documentata. Dalle origini, però, alcune cose sono cambiate: se prima il tappeto di fiori era unico, oggi ogni quadro è distinto dall’altro; dalla predominanza delle opere figurative a carattere religioso si è gradualmente passati ai disegni geometrici, sempre più complessi e articolati. Il motivo è semplice: dagli anni ’60, forse per fare concorrenza a Genzano, è nato un concorso artistico legato proprio all’infiorata. Un’idea che ha portato decine di infioratori a voler dimostrare di essere più bravi degli altri. Ogni anno, perciò, viene lanciato un tema su cui i partecipanti dovranno presentare il proprio bozzetto e, poi, realizzarlo a metà giugno. Una sorta di palio che consegna al vincitore una statua in bronzo di Sesto Properzio, poeta latino nato da queste parti. Per questo le regole sono piuttosto rigide: le opere devono avere una lunghezza minima di 12 metri (nel caso dei cosiddetti ‘quadri’) e almeno di 24 metri quadrati nel caso dei più tradizionali tappeti. Per entrambi, poi, possono essere usati solo fiori freschi, eventualmente essiccati, e solo marginalmente parti vegetali diverse dal fiore (come foglie e bacche). Per questo la raccolta – la cosiddetta capatura – inizia settimane prima. Ciò che non è cambiata rispetto alle origini è la data della manifestazione che, anche a Spello, cade in occasione del Corpus Domini (nel 2017 sarà nelle giornate del 17 e 18 giugno).
Noto: tripudio di colori nella perla del barocco. Un piccolo pezzo di Genzano lo troviamo anche nella terza delle grandi infiorate, quella di Noto. Perché gli infioratori genzanesi hanno fatto da insegnati a quelli netini quando, nel 1980, si decise di esportare la manifestazione anche in questa cittadina della provincia di Siracusa. Del resto, nascendo come tradizione seicentesca, non poteva mancare all’appello una delle capitali del barocco italiano. È proprio tra gli edifici di calcare ‘rosa’, tra cui spicca l’antico Duomo – patrimonio mondiale dell’umanità secondo l’Unesco – che da oltre trent’anni (stavolta leggermente in anticipo, precisamente il terzo fine settimana di maggio) si dipana il grande tappeto floreale. L’appuntamento, per il 2017, è dal 19 al 21 maggio. L’epicentro è via Corrado Nicolaci: 122 metri di lunghezza e 6 di larghezza completamente riempiti da petali; ma anche i vicoli, i cortili e i chiostri vengono adornati con petali. I quadri sono ispirati a un tema proposto dagli organizzatori – diverso ogni anno – e, data la collocazione nel calendario, sono dominati dalle specie che popolano le campagne della Val di Noto in quel periodo (rose, garofani e fiori di campo su tutti). Una manifestazione, dunque, meno religiosa (se non per il richiamo al mese dedicato alla Madonna) e più folkloristica, con il corteo barocco e la sfilata dei musici e sbandieratori. L’occasione per ‘invitare’ i turisti a scoprire le meraviglie di questo angolo di Sicilia.
La Orotava: le infiorate fanno scuola anche all’estero. Ma la ‘febbre’ da infiorata, come detto, ha contagiato il mondo intero. Così, negli anni, alcune si sono riuscite a imporre all’attenzione del mondo. Come quella di La Orotava, un paesino interno dell’isola di Tenerife (in Spagna), dove dal 1847 si svolge una delle versioni più apprezzate. Tanto è vero che, nel 2007, i mosaici – realizzati per il Corpus Domini – sono stati riconosciuti d’interesse culturale dal Governo iberico. Qui la particolarità, che distingue la ‘alfombra de flores’ di La Orotava da tutte le altre manifestazioni simili, è l’utilizzo soprattutto di sabbia vulcanica, raccolta nel parco nazionale del Teide. La preparazione del tappeto floreale, che copre l’intera piazza del Municipio, richiede un mese di lavoro. Basti pensare che, per completarlo, occorrono circa due tonnellate di sabbia. Per vederlo basta andare il 22 maggio sull’Isola della Canarie.
Gerano: la festa dei fiori più longeva. Per finire non si può non citare l’infiorata più antica di tutte: quella di Gerano, vicino Roma. Simile ma unica rispetto alle altre: innanzitutto perché va in scena dal lontano1742 ed è quella che ha visto il maggior numero di edizioni consecutive (ben 110, anche durante le guerre); poi perché si svolge in un periodo diverso, per festeggiare la Madonna del Cuore (la prima domenica dopo il 25 aprile); in un momento in cui la fioritura è ancora limitata, costringendo gli infioratori a sfruttare al meglio quelli disponibili a inizio maggio. Un paese, Gerano, che vive per l’infiorata: è sufficiente dire che l’asfalto di Piazza della Vittoria (la vecchia Piazza del Mercato), cuore pulsante dell’evento, è stato recentemente sostituito da blocchetti di porfido, disposti in modo che riportino perfettamente il perimetro dei sette quadri che compongono il grande mosaico floreale. Ottimi motivi per anticipare la stagione delle infiorate, già dall’anno prossimo. L’appuntamento è al 29 aprile 2018.
A Subiaco, in occasione della celebrazione del Corpus Domini, si svolge un’infiorata, composta da quadri raffiguranti scene a soggetti religiosi incorniciati da un manto erboso.I Sublacensi utilizzano migliaia di petali, essenze erboree, cereali, gambi e materiali naturali che depongono sul manto della strada a ridosso di Via Cadorna.Un’opera che richiede coordinamento, lavoro di squadra e dedizione. La giornata si conclude con la processione del Corpus Domini Partendo dalla Chiesa di Sant’Andrea e percorrendo la città di Subiaco e ritornando alla Chiesa.
Fonte sanfrancescopatronoditalia.it/La Stampa
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