Papa Francesco è partito nella mattinata di sabato 19 per il decimo viaggio internazionale, il più lungo — dal 19 al 28 settembre — e sicuramente tra i più importanti e attesi. In questo momento storico la visita a Cuba e negli Stati Uniti assume infatti un significato particolare. I due Paesi si sono riavvicinati dopo quasi sessant’anni di gelo; una contrapposizione dura, che negli anni più turbolenti della «guerra fredda» ha messo a repentaglio persino la pace mondiale. E se il processo di pacificazione ha subito un’inattesa accelerazione giungendo a una svolta — con la ripresa dei rapporti diplomatici e la riapertura delle rispettive ambasciate — molto si deve all’opera di mediazione del Pontefice.
Alcuni particolari li ha rivelati in un’intervista a TV2000 proprio alla vigilia del viaggio il sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu. L’arcivescovo ha detto che i diplomatici dei due Paesi sono giunti in Vaticano per apporre la loro firma al documento davanti al segretario di Stato «quasi come garante della parola che si erano scambiati tra loro». Francesco «ha incantato i rappresentanti del popolo cubano e statunitense» ha proseguito, aggiungendo che «sono stati loro a chiedere al Pontefice di farsi garante di questo desiderio di parlarsi, dialogare, incontrarsi». E «il Papa non si è tirato indietro». Ora, dopo che il crollo di un muro tanto anacronistico ha reso più evidenti le speranze di futuro che premevano dietro quell’invisibile ma rigida cortina, il Pontefice vuole testimoniare la sua vicinanza, anche fisicamente, in un momento tanto cruciale.
Negli Stati Uniti le vicende cubane ormai interessano per lo più la politica, i media e gli esuli dell’isola; per la maggioranza della gente comune si tratta di cose del passato. Soprattutto le giovani generazioni sanno poco o nulla. Non è così a Cuba, dove le conseguenze di questa divisione — specie dopo il crollo del blocco sovietico che in qualche modo bilanciava i costi dell’embargo (peraltro non ancora revocato ma sul quale il presidente statunitense Obama si è impegnato) — si sono fatte sentire pesantemente sull’economia. Per questo la notizia del riavvicinamento è stata accolta con esultanza e grandi aspettative. Non stupisce, quindi, che l’isola caraibica attenda Papa Francesco con particolare trepidazione.
A Cuba la Chiesa non ha vissuto momenti facili dopo la rivoluzione castrista del 1959. Ha subito non poche restrizioni, tuttavia non ha mai rinunciato alla sua missione evangelizzatrice e al suo ruolo nella società, conquistando importanti spazi di visibilità e di azione, e divenendo, soprattutto dopo la prima storica visita di Giovanni Paolo iinel 1998, il principale interlocutore del Governo e, col tempo, autorevole mediatrice anche con l’esterno, come avvenuto con gli Stati Uniti. In un quadro internazionale che ha visto la Santa Sede assumere un ruolo da protagonista in vari processi di dialogo e di riavvicinamento in America latina e in un contesto di riassetto geopolitico che ha spinto anche Cuba, considerata un simbolo ancorché controverso, a ripensare la propria collocazione.
Nonostante le difficoltà del passato, i rapporti tra L’Avana e il Vaticano non sono mai cessati. Anzi sono andati via via migliorando. Il Governo ha fatto, anche di recente, diverse concessioni e aperture. Nelle scorse settimane sul sito del ministero degli Affari esteri, oltre al programma della visita, è stato pubblicato un logo con accanto un profilo biografico del Pontefice. E il sito dell’organo di partito, «Granma», ha pubblicato il messaggio dei vescovi cubani in vista del viaggio papale. E soprattutto, come era avvenuto già in occasione delle visite di Giovanni Paolo ii e di Benedetto xvi nel 2012, il Governo ha deciso di concedere l’indulto a 3522 detenuti: il numero più alto da quando fu rovesciata la dittatura di Fulgencio Batista.
Non è un caso, dunque, se Francesco sarà il terzo Pontefice in meno di vent’anni a visitare il Paese: un primato da Cuba condiviso con il Brasile, che però è la Nazione con il più alto numero di cattolici al mondo. E oggi si sottolinea come la visita del Papa avvenga mentre si ricordano gli ottant’anni di ininterrotte relazioni con la Santa Sede.
Non sarà dunque solo per la denatalità e per la costante emigrazione soprattutto dei giovani che al suo arrivo Francesco troverà una Nazione diversa da quella che accolse Papa Wojtyła, e differente persino da quella che accolse Benedetto xvi appena tre anni fa; pochi questi ultimi, è vero, ma sufficienti per un cambiamento che — pur con l’avvicendamento al vertice tra Fidel Castro e il fratello Raúl e l’ulteriore spinta data da Papa Ratzinger — sembrava allora ancora lontano. Il Papa, che arriva come «missionario della misericordia», come si legge nel motto della visita, troverà un Paese pieno di aspettative, dopo il riavvicinamento con gli Stati Uniti, e con tanta voglia di riappacificarsi anche all’interno per affrontare il futuro con maggiore fiducia e serenità.
La gente sa che si è in un momento cruciale. Anche chi non crede ha compreso che la Chiesa può favorire un processo riformatore. E i cubani sperano che dalla visita del Pontefice, cui già sentono di dovere molto, possa arrivare un’accelerazione, oltre che un incoraggiamento alla missione evangelizzatrice della Chiesa. «Il popolo cubano — ha dichiarato il cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo dell’Avana — desidera che il Paese progredisca e che la prosperità benefici in modo equo tutti, ma non è solo questo; nell’ordine spirituale il nostro popolo anela a un amore stabile e duraturo nelle famiglie, alla pace nella convivenza familiare e nazionale, in poche parole, anela a godere di una vita riconciliata e felice». Per questo ci si aspetta per Francesco un’accoglienza popolare mai vista, come ipotizzato dal porporato cubano, che oggi stabilirà un primato: quello di unico vescovo ad aver ricevuto tre Pontefici nella stessa diocesi.
La stessa grande attesa c’è anche negli Stati Uniti. Il Pontefice gode di molta popolarità, malgrado qualcuno abbia tentato di accreditare un diverso sentire all’indomani dell’enciclica Laudato si’ e le critiche al sistema capitalistico. Secondo un sondaggio effettuato alla vigilia del viaggio dalla Quinnipiac University, il 66 per cento degli statunitensi ha un’opinione “favorevole” o “molto favorevole” del Papa, con livelli del 61 per cento tra i protestanti e del 63 tra atei e agnostici. Inoltre, secondo alcuni analisti, prima ancora di arrivare, Francesco avrebbe già migliorato la percezione della Chiesa cattolica nel Paese, segnata nel recente passato dagli scandali degli abusi sessuali. Non stupisce, quindi, che nelle tre città che lo accoglieranno — Washington, New York e Philadelphia — ci sia stata una vera e propria corsa ad accaparrarsi i pass per partecipare alle messe e gli altri incontri.
Anche i media stanno mostrando grandissimo interesse verso questa visita. E ne hanno sottolineato in tutti i modi l’unicità attraverso i primati: Bergoglio non era mai andato in visita negli Stati Uniti — e nemmeno a Cuba, se si eccettua una sosta di un’ora in aeroporto per uno scalo tecnico — prima si diventare Papa, come tale sarà il primo americano a farlo, così come sarà il primo Pontefice a parlare al Congresso, il primo a celebrare qui una messa in spagnolo, il primo Papa a presiedere una canonizzazione negli Stati Uniti (padre Junípero Serra), il primo al quale è stato dedicato un sito (walkwithfrancis.org) per seguire in diretta passo passo la visita. Non solo. I media hanno cercato di anticipare — non senza alcuni tentativi di strumentalizzazioni politiche in clima di campagna elettorale per le presidenziali — quelli che presumibilmente saranno i temi trattati nei vari incontri, in particolare a Capitol Hill e al Palazzo di Vetro: dall’immigrazione alla libertà religiosa, da un’economia giusta alla salvaguardia del creato, dalla difesa della vita alla tutela della famiglia e del matrimonio. Un tema quest’ultimo, molto sentito anche su questa sponda dell’Atlantico.
Del resto il motivo principale della visita del Papa negli Stati Uniti è la partecipazione all’incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia. E, nonostante tutte le implicazioni politiche del viaggio, non bisogna dimenticare l’aspetto religioso. Francesco arriva come pastore. Basta vedere il programma della visita che, oltre ai momenti istituzionali, prevede incontri con gli emarginati, gli immigrati, i carcerati, i giovani, le comunità ecclesiali locali. Perché, come ha scritto alla vigilia del viaggio il presidente della Conferenza episcopale statunitense, l’arcivescovo Kurtz, «nessuno è tanto potente da poter essere esentato dal sentire il grido dei poveri. E nessuno è tanto insignificante da poter essere scartato».
Di Gaetano Vallini per L’Osservatore Romano