Come nasce il suo libro “Pronto? Sono Francesco”?
Nasce da un’esperienza meravigliosa, un anno in cui sono stato proiettato a seguire il pontificato di Papa Francesco, e ancora prima le dimissioni di Benedetto XVI, perché sono arrivato alla guida di Rai Vaticano la sera dell’annuncio di Papa Ratzinger. Quindi affronto questo grande cambiamento storico: le dimissioni di un Papa, il Conclave, la rivoluzione dello spirito iniziata con quel “Buonasera” che irrompe in piazza San Pietro con Papa Francesco. Un anno di lavoro con un’ottica particolare, alla luce anche dei miei studi e della mia esperienza associativa come membro e poi presidente dell’Unione cattolica della stampa italiana, cioè la possibilità di una lettura etica dei media. Io credo che Papa Francesco, in un anno, parlando ai giornalisti senza grande enfasi, ma con la semplicità della sua grande portata spirituale, abbia scritto una vera enciclica sui media, con la dolcezza del suo sorriso e la fermezza delle sue parole, da quel “Buonasera” fino al potente discorso della Giornata mondiale delle comunicazioni, sul fascino ma anche sui pericoli della Rete. Una grande pagina di etica dei media, quell’etica che con grande difficoltà giornalisti credenti e non credenti cercano di recuperare in un mondo, quello giornalistico, che ha bisogno di senso e di verità.
Come ha influito in questo processo Papa Francesco?
Quando il Papa esorta i giornalisti, dopo il Conclave, a raccontare “verità, bontà e bellezza”, chiede anche un’assunzione di responsabilità molto forte a tutto il mondo dell’informazione. E dà pure una indicazione, notando che la Chiesa non è un evento mondano né politico, ma spirituale, e per raccontarlo occorre essere preparati. Chiede quindi qualificazione e profondità d’analisi, che credo siano caratteristiche di cui abbia bisogno tutto il giornalismo, non solo italiano: quella possibilità di fermarsi oltre il clamore e la spettacolarizzazione del grande circo mediatico, per tentare di offrire al lettore una chiave di interpretazione dei fatti e dunque dell’esistenza umana. Papa Francesco aggiunge qualcosa in più: una chiave di lettura in cui c’è sempre la mano di Dio nel racconto della storia dell’uomo. Questo mi ha affascinato molto e con il mio volume ho provato a raccontare il Papa e il giornalismo, con quel soffio dello Spirito e con la proposta rivoluzionaria del Vangelo di Cristo. Quale la chiave del carisma e del grande successo del Papa, anche tra i non credenti? La coerenza tra il pensare e l’agire.
Nel volume lei parla di una vera “rivoluzione comunicativa”.
Non solo il Papa è protagonista di comunicazione, ma crea eventi comunicativi. Il gesto di accarezzare un bambino e portarlo sulla papamobile è una metafora dell’accoglienza, di un senso di solidarietà. Quel gesto simbolico diventa metafora di un grande racconto e in questo è una rivoluzione fortissima. Pensiamo poi a Santa Marta: il Papa alle 7 del mattino detta l’agenda a noi cronisti. Si può fare a meno oggi di quegli interventi per raccontare la quotidianità di Papa Francesco? Lui irrompe nella nostra storia mediatica con una propria agenda comunicativa e detta le regole del gioco. Noi rimaniamo affascinati a recepirle, a decifrarle e a raccontarle. Poi le telefonate, in cui il Papa dialoga con una persona ma nel frattempo offre una riflessione a milioni di persone, sempre alla luce del Vangelo. Questa è la vera rivoluzione di Francesco, che incontra in un anno 7 milioni di pellegrini a San Pietro, ma sembra aver incontrato 7 milioni di persone. Francesco parla a milioni di persone in Tv, ma arriva al cuore di ognuno di noi. È questa la rivoluzione comunicativa di Papa Francesco. di Luca Caruso
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