Il principio di una diplomazia umana è l’amore. Lo afferma il cardinale eletto Pietro Parolin, segretario di Stato, che in un’intervista al Centro televisivo vaticano traccia un bilancio iniziale della sua missione di «primo e diretto collaboratore» di Papa Francesco. In questa fase iniziale, definita di «avvio, dedicata soprattutto allo studio, alla conoscenza e all’approfondimento dei vari problemi», il presule afferma di aver maturato la consapevolezza che quello del segretario di Stato è «un servizio molto impegnativo ed esigente, pieno di responsabilità, ma anche molto appassionante» nella «nuova stagione della Chiesa inaugurata da Papa Francesco». Perciò — prosegue — le sue priorità sono le stesse del Pontefice, «quelle sulle quali ha insistito sin dall’inizio e che ha poi raccolto in maniera più organica nell’Evangelii gaudium»: ovvero «la trasformazione missionaria della Chiesa. Una Chiesa in uscita, in stato permanente di missione», che punta al rinnovamento e alla conversione pastorale di «tutte le strutture»,
quindi anche della Curia romana e della diplomazia ecclesiastica, «i due ambiti nei quali si colloca l’attività del segretario di Stato».Un’attività che vanta una lunga tradizione, ma che deve continuamente confrontarsi con i mutamenti dei tempi. In proposito monsignor Parolin spiega che «ogni giorno si scrivono pagine nuove di storia nella diplomazia della Santa Sede». Pagine che «si aggiungono alle pagine del passato», come testimonia il significativo riferimento fatto da Papa Francesco ai cento anni dell’inizio della prima guerra mondiale durante il discorso al corpo diplomatico del 13 gennaio scorso. In quell’occasione infatti venne scritta «una pagina gloriosa — sottolinea il segretario di Stato — se si pensa all’immensa opera compiuta da Benedetto xv per fermare l’“inutile strage”». Tra le nuove pagine di questa storia, invece, il segretario di Stato annovera i numerosi incontri, in questi primi mesi di pontificato, con capi di Stato e di Governo, e con i responsabili delle organizzazioni internazionali. E ricorda in particolare la giornata di preghiera e di digiuno per la Siria, «che ha espresso la forza morale della Chiesa: il Papa che ha saputo raccogliere e interpretare il grido di pace che sale dalla martoriata popolazione siriana e che sale da ogni cuore desideroso di vivere in maniera umana e solidale la sua vicenda; ha saputo tradurlo in un grande movimento che ha portato anche i suoi frutti, dando esempio di una forza morale e spirituale che è quello che la Santa Sede testimonia nelle sue relazioni con gli Stati». Del resto, nota, «il Papa costituisce la coscienza morale dell’umanità e il suo richiamo viene ascoltato anche da parte delle cancellerie e dei governi. Si rivolge un’attenzione speciale a tutto quello che il Papa dice e a tutto quello che il Papa fa»,
e questo perché «c’è un desiderio di bene e un grande sforzo presente nel mondo per costruire la pace».Soffermandosi poi sui principi ispiratori della diplomazia, l’arcivescovo afferma che essa anzitutto «deve essere umana, avere al suo centro la persona. E Papa Francesco ci spinge a considerare questa centralità della persona umana non in maniera astratta» ma riferendosi a ogni singolo individuo, specialmente ai poveri, gli emarginati, i deboli, i più vulnerabili, le persone insomma che non hanno voce. In quest’ottica la diplomazia deve essere una «strada per l’incontro», come più volte auspicato dal Pontefice, il quale invita «a uscire dall’isolamento, perché solamente incontrandosi ci si può capire, ci si può accettare e si può collaborare». Altri principi ispiratori della diplomazia devono essere la solidarietà e l’impegno di prendere a cuore le situazioni degli altri, per contrastare quella cultura dell’indifferenza che il Papa continua a denunciare. Monsignor Parolin ne è convinto: «In fin dei conti — è la conseguenza — il principio di una diplomazia umana è l’amore, è l’attenzione alla persona, l’amore per ciascun essere umano». Quanto allo specifico apporto che la diplomazia della Santa Sede può offrire «in questo momento in cui ci sono tanti conflitti, in cui il mondo vive tante lacerazioni e tante contrapposizioni», il segretario di Stato esorta «a promuovere e a consolidare» il dialogo e il rispetto reciproco. Soprattutto in considerazione del fatto che oggi «le diversità si sono avvicinate, si sono incontrate e possono dare origine a scontri, a conflitti». Ecco allora che una delle sfide principali della diplomazia ecclesiastica è proprio far sì che le differenze politiche, culturali e religiose non diventino motivo di contrapposizione e di lotta, ma di arricchimento reciproco.
Infine, alla domanda riguardante le aree geografiche su cui investire maggiormente, il segretario di Stato risponde che «il Papa come padre e pastore della Chiesa universale ha a cuore tutte le situazioni. In qualsiasi parte del mondo vi siano difficoltà, sofferenze e contrasti, il Papa è presente con il suo cuore di rappresentante del Signore». Certo, l’Europa è un’area che merita attenzione, soprattutto per quel che concerne la costruzione di una “casa comune”. Alla quale la Chiesa può dare un contributo importante, per evitare che resti solo una costruzione politica ed economica; ma, conclude il presule, «oggi l’attenzione si sposta soprattutto nel Sud del mondo», in particolare verso «quelle realtà dove esistono conflitti e dove il primo impegno è quello di aiutare a ritrovare la pace. Una pace — auspica — che sia anche la base e il fondamento per uno sviluppo umano integrale».
a cura della Redazione Papaboys
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