C’è bisogno di luce. E la Chiesa italiana va a Genova, la città della Lanterna, racchiusa nel logo del Congresso eucaristico nazionale con il mare e la croce. «Una luce – sottolinea l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco – capace di illuminare ciò che sta nel più profondo del cuore dell’uomo, di ogni uomo: il desiderio di camminare insieme e, insieme, costruire una società più umana e vivibile».
Il Congresso eucaristico, al via oggi, si celebra mentre l’Anno Santo della misericordia volge al termine. Quale legame c’è tra Eucaristia e misericordia?
Il Congresso per noi è il vertice, il culmine dell’Anno Santo. Papa Francesco nel suo motu proprio ricorda che Gesù rivela il volto misericordioso di Dio Padre. Ebbene, l’Eucaristia è il sacramento della presenza reale di Gesù, il volto sacramentale della misericordia stessa, un volto che è sempre con noi, nella vita della Chiesa, e si dona al nostro sguardo. Ogni volta che celebriamo il mistero eucaristico, lo vediamo, lo tocchiamo e ce ne nutriamo.
Il Congresso è fatto soprattutto di silenzio, preghiera, celebrazione, perdono… Qual è il suo cuore?
Quale messaggio intende dare il Congresso alla comunità ecclesiale italiana?
Uno su tutti: ravvivare la centralità del mistero eucaristico come (sono parole del Concilio) fonte e culmine della vita cristiana. È l’Eucaristia ritrovata, celebrata e adorata. L’Eucaristia cuore pulsante della vita cristiana e dell’intera vita della Chiesa. E sorgente della missione. Non sottolineeremo mai abbastanza quanto l’Eucaristia sia la sorgente della grazia, della vita nuova. Inutile negarlo: c’è un diffuso volontarismo, come se ci potessimo salvare con le nostre sole mani, noi unici e assoluti protagonisti del bene, quasi in uno sforzo titanico di autoredenzione. In realtà noi siamo i collaboratori del vero grande Protagonista, che è Cristo.
Il Congresso eucaristico si celebra a quasi un anno dal Convegno ecclesiale di Firenze. In quale modo ne raccoglie l’impronta?
Un primo segno concreto è nell’organizzazione, nelle dieci catechesi tenute da dieci vescovi, tutte sull’esortazione apostolica Evangelii gaudium alla luce dei cinque verbi di Firenze: uscire, abitare, educare, annunciare e trasfigurare.
Papa Francesco, fin dal primo minuto del suo pontificato, ha invitato a essere “Chiesa in uscita”. Celebrare l’Eucaristia e uscire, dov’è il nesso?
È in quell’ite missa est che chiude la celebrazione. “Andate”. L’Eucaristia, conclusa nella dimensione liturgica, prosegue nella dimensione missionaria. “Andate”, ossia annunciate la gioia dell’incontro con Cristo, avvenuto nel pane della Parola e dell’Eucaristia, che ogni comunità cristiana ha appena vissuto.
Sempre a Firenze, Francesco ha invitato a tenere la rotta ben salda, puntata sull’Evangelii gaudium. Qual è il bilancio un anno dopo?
Di sicuro la Chiesa italiana non si è fatta trovare impreparata. Ben prima del Convegno ecclesiale, in ogni diocesi l’esortazione apostolica era stata letta e approfondita. Da Firenze in poi si è trattato di intensificare un percorso già avviato. Soprattutto, da subito abbiamo cercato di legare l’esortazione apostolica al tema del decennio, l’educazione. Cosa non difficile: il contenuto primo dell’educazione è l’umanesimo, il quale a sua volta ha un fondamento che il Papa stesso ci ha ricordato in Santa Maria del Fiore: o guardiamo a Cristo, al suo Volto, o non potremo comprendere nulla dell’umanesimo. Questo è il fondamento antropologico.
Lei sottolinea i tre luoghi fondamentali dell’educazione: famiglia, scuola e “cattedra dei poveri”…
Sì. Soprattutto, credo che dovremmo far meglio emergere la dimensione educativa del servizio. È un fare che comporta un essere e un pensare.
Tra i gesti concreti, c’è la colletta per i terremotati di domenica prossima.
Un atto strettamente legato all’Eucaristia, sorgente di carità e missione. Domenica ricorderemo i fratelli colpiti dal terremoto con la preghiera e con la colletta, due dimensioni dello stesso affetto.
Questo sarà un Congresso eucaristico “breve”. Perché?
È vero. Per la prima volta è una “settimana” di tre giorni appena. Ma i ritmi sono cambiati, la vita quotidiana con i suoi impegni è cambiata, è ciò ha indotto noi vescovi a concentrare il programma. L’altra novità sono le opere di misericordia. Nell’Anno Santo, volevamo rendere esplicito che l’Eucaristia è sorgente non solo della missione, ma anche della carità. Così abbiamo individuato 35 realtà diocesane in cui sono vissute tutte e 14 le opere spirituali e corporali, i nostri “luoghi della misericordia”, dove domattina i delegati, in piccoli gruppi, si recheranno per incontri di preghiera, fraternità e conoscenza, condividendo se possibile il pranzo. Un’ulteriore opera-segno sarà quella lasciata in dono a Genova: due centri per i senza fissa dimora, dove una quarantina di ospiti troveranno cena, riposo e prima colazione.
Il Congresso eucaristico è un fatto privato dei fedeli cattolici o lancia un messaggio a tutti e intende coinvolgere tutti, nessuno escluso?
C’è un modo di vivere che tutti desideriamo, tutti, nessuno escluso: è bello e possibile camminare insieme, e insieme costruire una società più umana e vivibile. Il fulcro per noi cristiani è Gesù Cristo, ed è un annuncio che non possiamo nascondere. Ma il desiderio che sta nel più profondo del cuore di ogni uomo è lo stesso, ne sono certo.
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Umberto Folena)
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