Onorevole Roccella, una sentenza ha “legittimato” contro ogni legge e regola in vigore il ricorso alla fecondazione eterologa. La mercificazione del corpo sembra avere tra l’indifferenza generale il sopravvento sul diritto naturale. Quale sarà il futuro che ci attende alla luce del verdetto emanato dalla sentenza in questione? Prima di tutto vorrei precisare una cosa: la sentenza della Corte Costituzionale non è una soluzione per alcune coppie infertili, come si potrebbe pensare, e come la gran parte dei media dice, ma apre nuovi gravi problemi che la legge 40 aveva evitato finora. Infatti, la legge 40 imponeva regole a tutela di tutti i soggetti in gioco: avendo come criterio di fondo che le coppie infertili dovessero essere messe nelle stesse condizioni di quelle fertili, la legge consentiva solo quello che avviene nel concepimento naturale all’interno di una coppia fertile. La fecondazione eterologa apre ora molte e gravi questioni: dal problema dei rapporti genitoriali e di parentela (pensiamo ai “donatori multipli”), alla legittima ricerca delle proprie origini da parte dei nati con questa tecnica, per non parlare del commercio di parti del corpo umano. Infatti, essendo essenziale per l’eterologa disporre di gameti esterni alla coppia, è concreta la possibilità che anche nel nostro paese si apra la compravendita dei gameti senza la quale la fecondazione eterologa difficilmente può essere attuata: un mercato del corpo umano, appunto, – dalla compravendita degli ovociti all’utero in affitto – analogo a quello che già esiste a livello internazionale, con gravi forme di sfruttamento delle donne giovani e povere. E’ vero che la normativa esistente su cellule e tessuti, recepita e adattata alla fecondazione assistita quando ero sottosegretario al Ministero della Salute, prevede la totale gratuità della donazione di tutte le cellule e i tessuti, ma mi chiedo cosa succederà quando si vedrà che, senza una qualche forma di compenso, le richieste di gameti rimarranno sostanzialmente inevase. Sulla pratica dell’utero in affitto, vorrei ricordare come la recente sentenza del tribunale di Milano, che ha riconosciuto come madre una donna che ha commissionato in Ucraina una gravidanza a pagamento e non quella che ha partorito il bambino, confermi la tendenza internazionale a legittimare questa pratica per via giurisprudenziale, anche in Italia. L’utero in affitto è una pratica di sfruttamento delle donne utilizzate come “contenitori a pagamento”, una pratica che dovrebbe essere sanzionata a livello internazionale e nazionale, proprio per tutelare i diritti dei più indifesi – i bambini e le gestanti a pagamento – e colpire invece chi di tutto questo sta facendo il più cinico dei commerci. Infine, tornando ai problemi aperti dell’abolizione del divieto dell’eterologa, è necessario anche tenere conto dei problemi sanitari legati alla tracciabilità del materiale biologico. Abbiamo letto tutti dello scambio di embrioni avvenuto all’ospedale Pertini a Roma, di cui si sono occupati gli ispettori del Ministero della Salute e del Centro Nazionale Trapianti, una commissione apposita istituita dalla Regione Lazio e anche i NAS. E’ evidente che, se già sono accaduti fatti gravi come questo del Pertini quando c’era solo la fecondazione omologa, con l’introduzione dell’eterologa i rischi di errori simili non possono che aumentare. L’eterologa ha bisogno di regole specifiche e certe, senza quella fretta superficiale e rischiosa per l’attuazione immediata della sentenza della Consulta che in troppi hanno sbandierato in questi giorni. E proprio per questo presenterò immediatamente una legge in materia, appena saranno rese note le motivazioni della Corte Costituzionale.
L’abolizione del “divieto” sulla fecondazione eterologa, ha di fatto tolto ogni garanzia a tutela dei bambini. Quali sono gli scenari verso cui andiamo incontro? Con l’abolizione del divieto di fecondazione eterologa cade una delle più importanti garanzie a tutela del bambino: cade il diritto di ogni nato a crescere con i genitori naturali che lo hanno generato, e forse cadrà anche il diritto a conoscerli, e quindi a conoscere le proprie origini, se il Parlamento dovesse esprimersi in tal senso. Sarà comunque difficile trovare persone disposte a cedere i propri gameti, se gli eventuali figli naturali potranno accedere alla loro identità, cioè se sarà stabilito il diritto a conoscere i propri genitori naturali. Sappiamo che in molti paesi in cui è permessa da tempo l’eterologa, i nati da questa tecnica hanno scatenato importanti contenziosi giuridici per accedere a notizie sui propri genitori biologici: solitamente questo diritto è stato loro riconosciuto, e di conseguenza è stato abolito l’anonimato dei donatori di gameti, con un conseguente crollo della numerosità dei donatori. Sotto questo aspetto, sarà importante leggere le motivazioni della sentenza della Corte, anche per capire se effettivamente sono state eliminate – come sembrerebbe dal comunicato della Consulta – le parti della legge collegate al divieto di eterologa, quelle cioè che vietano il disconoscimento della paternità, e stabiliscono che il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato, né può far valere nei suoi confronti alcun diritto. Ci aspettiamo poi che arrivino presto richieste di accesso alla procreazione assistita da parte di coppie gay e single. La legge 40 vieta ancora questa possibilità, e ci batteremo in Parlamento perché così rimanga: noi crediamo che sempre con le tecniche di fecondazione assistita si debbano tutelare i diritti del nato, garantendogli la certezza delle origini e il diritto di avere un padre e una madre.
A Torino una giovane donna è deceduta dopo aver assunto la pillola abortiva RU486. E’ la prima morte registrata in Italia, ma è la quarantesima connessa alla stessa. Anche in questo ambito nei mesi scorsi abbiamo assistito a presi di posizioni arbitrarie, distanti dalla normativa vigente. E’ stato legittimato un modello senza nessun supporto giuridico-legislativo. Ci troviamo a vivere dentro una nuovo forma di dittatura a senso unico da cui sarà difficile uscire? Siamo di fronte al tentativo, tutto politico e ideologico, di smontare i paletti della legge 194 per arrivare all’aborto “fai da te”: si vuole trasferire l’aborto dall’ospedale a casa, rendendolo un fatto del tutto solitario e “privato”, impedendone la prevenzione e nascondendo un grave problema sociale, che non riguarda solo le singole donne ma interpella tutti noi. Nonostante le chiare indicazioni fornite dal Consiglio Superiore di Sanità, dall’Aifa e dal Ministero della Salute, per cui per assumere la Ru486 è necessario il ricovero in ospedale per tutto il percorso abortivo, alcune regioni hanno deciso, incredibilmente, di somministrare la pillola abortiva in regime di Day hospital, e addirittura la Toscana starebbe pensando a una somministrazione per via ambulatoriale. Disattendere delle direttive precise a tutela della salute della donna è un atto di grave superficialità, che denota un approccio ideologico al tema e una grande indifferenza per la salute delle donne. Inoltre, e direi non a caso, accanto alla battaglia per l’aborto a domicilio, si sta scatenando anche un fortissimo attacco all’obiezione di coscienza, che è un diritto alla libertà interiore, costituzionalmente fondato, ed è la prima e fondamentale libertà di cui dispone ogni individuo. Si tratta di un attacco immotivato e strumentale, e vorrei dire di più: le reiterate campagne contro l’obiezione di coscienza mascherano, dietro la facciata della difesa dei diritti delle donne, una sostanza ideologica e illiberale che tende in realtà a colpire diritti fondamentali come quello della libertà di coscienza.
A Grosseto il Tribunale ha ordinato la trascrizione nel registro civile di un matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato a New York, contravvenendo alle disposizioni legislative vigenti in Italia. La continua interferenza e ingerenza della magistratura nelle decisioni democratiche sancite dalla legge, è allarmante e suscita gravi interrogativi. Coma mai nessuno interviene con decisione per arginare questa deriva così pericolosa per la stabilità sociale? Non è la prima volta che la magistratura entra a gamba tesa e in modo ideologico in questioni di competenza parlamentare, come quella del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Questa vicenda, poi, è paradossale e tutta strumentale, anche perché la nostra Costituzione è chiarissima sul fatto che in Italia il matrimonio è fra un uomo e una donna, e anche la Corte Costituzionale si è espressa in modo netto su questo tema: non a caso è stata la stessa Procura a dichiarare che presenterà ricorso contro la decisione del Tribunale di Grosseto. Spesso, purtroppo, abbiamo il sospetto di trovarci di fronte a delle operazioni-manifesto che poco hanno a che fare con il diritto e la giustizia, mentre sembrano invece confermare il tentativo di creare dei casi, dei precedenti giurisprudenziali per spingere il Parlamento a legiferare su alcuni temi delicati, o magari, addirittura, per costringerlo a ratificare delle decisioni prese altrove. Ricorderete forse il caso della coppia gay che ha avuto in affido la bambina di tre anni dal Tribunale dei minori di Bologna. Una notizia, anche quella, che così come è stata presentata dalla stampa, è apparsa più che altro come un modo per esercitare pressione indiretta sulla politica e sull’opinione pubblica, e per sollecitare il riconoscimento dei matrimoni omosessuali e delle adozioni per coppie gay, che la legge italiana non ammette. Credo che sarebbe più onesto affrontare tali questioni nel luogo più pertinente, cioè il Parlamento, invece di cercare scorciatoie che di democratico non hanno proprio nulla. Noi ci batteremo affinché venga rispettata la democrazia, e perché il dibattito su tutti questi temi torni nel luogo legittimato dal voto popolare, ossia il Parlamento, e che lì, dopo aver discusso, si prendano le opportune decisioni. a cura di Don Salvatore Lazzara
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