Onorevole Roccella, venerdì scorso insieme all’Onorevole Pagano ha tenuto una conferenza stampa, presso la Sala Conferenze della Camera dei Deputati, per commentare la risposta del governo all’interpellanza urgente, sul ruolo dell’Unar. Può illustrare ai nostri lettori, il ruolo di questo organismo? L’Unar, l’Ufficio nazionale anti discriminazioni, è un organismo costituito presso la Presidenza del Consiglio che nasce per garantire la “parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica”. Questo organismo, inoltre, secondo il decreto con cui è stato costituito, “deve operare in piena autonomia di giudizio e in condizione di imparzialità”. Queste sono le sue legittime ed esclusive prerogative. Di fatto, però, senza una apposita norma di legge, l’UNAR ha ampliato le proprie competenze anche alle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender) e a materie su cui non ha alcuna competenza. Oltretutto, l’UNAR opera in questo ambito avvalendosi di un gruppo di lavoro costituito da 29 associazioni omosessuali, senza altre rappresentanze a garantire la pluralità delle opinioni e dei criteri di giudizio. In questo modo l’Unar ha iniziato a lavorare in piena autonomia, fino a lanciare la diffusione degli opuscoli suddetti su come “Educare alla diversità a scuola”, che sono arrivati ai nostri ragazzi senza alcuna autorizzazione, né del Ministero dell’Istruzione, né dal Ministero delle politiche sociali, escludendo totalmente i genitori degli studenti da una iniziativa del genere. A scanso di equivoci, vorrei chiarire ancora una volta che tutti noi crediamo nella lotta alle violenze e alle discriminazioni, di qualsiasi tipo e verso chiunque; quello che sta facendo l’Unar, però, è decisamente altro. Nonostante le numerose interpellanze urgenti che abbiamo presentato in Parlamento, ancora oggi non si riesce a capire a quale titolo l’UNAR si interessi e continui a interessarsi delle persone LGBT, che certamente non rientrano nel novero di coloro che possono essere discriminati per ragioni di razza o di origine etnica. Le risposte che ci vengono date continuano ad essere insoddisfacenti, ma noi andiamo avanti, e continueremo a interpellare il governo finché non otterremo risposte più chiare. Abbiamo però già ottenuto qualche risultato concreto: alcuni libretti non sono più stati diffusi, e il Ministero dell’Istruzione ha bloccato i corsi di formazione rivolti agli insegnanti su questo tema.
Già in precedenza l’Unar in maniera unilaterale ha “sconfinato” nella riorganizzazione dei testi e dell’educazione scolastica… Si, infatti il lavoro dell’ Unar è stato oggetto, nel gennaio scorso, di una nostra interpellanza urgente, su un documento intitolato “Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, e su un ulteriore documento, destinato ai giornalisti, dal titolo “Comunicare senza pregiudizi”: un vero e proprio codice del politicamente corretto, che maschera la realtà e invita all’autocensura inseguendo il più piatto conformismo ideologico. Per fare un esempio, in questo testo si afferma che bisogna evitare la dizione diffusa “utero in affitto”, che andrebbe sostituita con “madre portante” e comunque con termini che non alludano al rapporto contrattuale e alla mercificazione della donna. Un’indicazione francamente inaccettabile. Come non è accettabile che la definizione di famiglia, così come descritta nella nostra Costituzione, ossia come società naturale fondata sul matrimonio, venga in pratica considerata scorretta, in quanto l’aggettivo “naturale” viene definito improponibile dai documenti dell’Unar. Siamo cioè al paradosso secondo il quale dall’interno delle istituzioni si stabilisce la messa al bando di definizioni contenute nella nostra Carta Costituzionale, quella stessa su cui tutte le istituzioni si poggiano! Sulla stessa linea, nasce il progetto “Educare alla diversità a scuola”, che citavo sopra, commissionato dall’UNAR all’Istituto AT Beck, allo scopo di elaborare uno strumento per le scuole su delicate tematiche che riguardano la relazione, l’affettività e la sessualità dei nostri figli: tutto questo senza alcun coinvolgimento dei genitori e senza alcuna autorizzazione ministeriale. Oltretutto, lo stesso Viceministro Guerra, che si è dichiarata a favore delle unioni gay, ha stigmatizzato la diffusione di questo materiale con una nota di demerito al presidente dell’Unar De Giorgi.
In questi giorni, per arginare la deriva ideologica dell’insegnamento, insieme ad alcune associazioni familiari e a tanti genitori avete stilato una proposta di legge sulla libertà di educazione nelle scuole e sulla condivisione del progetto educativo tra scuola e famiglia… Voglio ripetere che con le iniziative di cui abbiamo parlato, legate al Piano nazionale contro le discriminazioni per l’orientamento sessuale e l’identità di genere varato dall’ex ministro Fornero, in realtà non si vuole colpire il bullismo, la violenza o la discriminazione contro i gay, bensì, come è scritto in uno dei libretti UNAR, si vuole “instillare” (é questo il termine adoperato) nei nostri ragazzi il concetto che non esistono maschio e femmina, madre e padre, e che l’idea che la famiglia sia formata da un uomo e da una donna è frutto di una cultura omofoba. Per arginare tutto questo, abbiamo depositato una proposta di legge con cui si vuole riaffermare e garantire il diritto fondamentale della scelta educativa dei genitori, sancito, tra l’altro, anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della convenzione ONU dei diritti del fanciullo. Nella nostra proposta di legge si afferma che lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere all’educazione dei figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche. Per questo, abbiamo previsto che, per la realizzazione di tutte le attività integrative, facoltative e progettuali, rivolte agli alunni nelle scuole di ogni ordine e grado, che riguardino direttamente o indirettamente i temi legati alla relazione, all’educazione all’affettività e alla sessualità, e in generale i temi eticamente sensibili, vengano informati i genitori, che devono dare il proprio consenso in forma scritta, per ogni singolo alunno. Inoltre, la scuola dovrà provvedere ad attività sostitutive per coloro che scelgano di non avvalersi delle attività extracurriculari, senza dar luogo ad alcuna forma di discriminazione, così da garantire a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di queste attività, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori.
Marco De Giorgi, direttore dell’Unar, -artefice della distribuzione degli opuscoli LGTB nelle scuole-, si è avvalso della collaborazione dell’istituto Beck il cui sito nella parte che riguarda l’omofobia, contiene pesanti giudizi sulla religione cattolica e sul ruolo educativo della Chiesa nella società. Tali giudizi sono stati inseriti nei tre opuscoli citati con la critica al ruolo educativo della famiglia, della morale cristiana. Stiamo forse precipitando nella direzione del pensiero unico, principio e fondamento dei regimi totalitari? Oppure è in atto una grave forma di “discriminazione al contrario”, foraggiata dal discredito, per continuare indisturbati il processo di cambiamento antropologico dell’uomo? Sicuramente la posta in gioco è proprio la libertà di espressione, e di conseguenza la libertà di educazione. Purtroppo sono molti i fatti che ci indicano che rischiamo seriamente una discriminazione al contrario di quella che si dice di voler combattere: si rischia che ad essere penalizzati siano coloro che pensano che la famiglia è quella fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. Quando da luoghi istituzionali come l’Unar (che fa parte di un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) vengono diffusi documenti come quelli che abbiamo ricordato – dalle linee guida per i giornalisti riguardanti il linguaggio da usare nei confronti delle persone LGBT ai libretti per le scuole curati dall’istituto Beck – deve scattare un campanello d’allarme: come è possibile che proprio quei luoghi istituzionali che dovrebbero essere un riferimento per tutti i cittadini, e che mai dovrebbero rappresentarne una parte, si facciano invece portavoce e capofila per operazioni di questa portata ideologica? Come è possibile che nella filiera educativa che dalle istituzioni arriva fin nella singola scuola, si siano inseriti contenuti di questo tipo? Forse perché si tratta di contenuti che fanno parte del “mainstream” del politicamente corretto, e quindi neppure ci si rende più conto della loro effettiva portata? Questo dimostra come sia importante vigilare sull’educazione dei figli, e come su questo non si possa mai dare una delega in bianco a nessuno: tutti, dai politici fino ai genitori, dal Ministero fino ai presidi e agli insegnanti, dobbiamo fare attenzione a quello che viene proposto ai nostri ragazzi, e tutti dobbiamo moblitarci. a cura di Emanuela Graziosi