«Finché ci sarà il Daesh noi non avremo alcun futuro». Parla della propria comunità, ma pensa a tutte le minoranze schiacciate sotto il tallone del Califfato islamico, che in Siria e in Iraq sta portando avanti una vera e propria pulizia etnica.
Anzi, un «genocidio», come non si stanca di ripetere Nadia Murad, yazida irachena di 21 anni, fuggita dopo tre mesi di prigionia nelle mani dei miliziani e da sei mesi residente a Stoccarda, come rifugiata. Dopo la fuga e l’approdo in Europa, Nadia si è data una missione: raccontare ciò che le è successo per «muovere il mondo occidentale », che non sta facendo abbastanza per combattere il Califfato.
Ha già parlato al Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha toccato quindici Paesi. In questi giorni è, per la prima volta, in Italia e oggi sarà ascoltata dalla Commissione diritti umani della Camera. «Un anno e mezzo fa – ha raccontato ieri all’Univer- sità di Milano-Bicocca, ospite del Festival dei diritti umani – gli uomini del Daesh sono arrivati a Kocho, il villaggio dove abitavo e, in un solo giorno, hanno ucciso più di tremila uomini. I miei sei fratelli sono stati ammazzati sotto i miei occhi e mia madre è stata uccisa insieme ad altre ottanta donne sopra i 45 anni».
Per i criminali del Daesh, quella è l’età oltre la quale una donna non può più diventare una schiava sessuale, non può più essere venduta e, di conseguenza, non servendo più a nulla, deve essere eliminata. Nadia, invece, con altre 150 giovani della sua età, è stata portata a Mosul, dove a tutte è stato imposto il cambio di religione. «Con noi – ha proseguito Nadia – c’erano anche più di mille bambini, ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello per farli diventare futuri guerriglieri. Noi ragazze, invece, siamo state vendute e comprate più volte e violentate fino a perdere i sensi».
Per tre volte, Nadia tenta di fuggire ma viene sempre ripresa. Finalmente, trova rifugio nella casa di una famiglia musulmana che, anziché denunciarla, l’aiuta a raggiungere il confine e, da qui, il campo profughi. Con altri mille viene quindi portata in Germania. «Da allora non ho mai smesso di denunciare i crimini del Daesh – ha ricordato la giovane yazida – e chiedo che siano riconosciuti come genocidio. Attraverso la mia testimonianza, voglio che il mondo apra gli occhi su quanto sta accadendo nel mio Paese, dove altre 3.500 ragazze come me sono ancora nelle mani del Califfato. Chiedo l’aiuto di tutti e, soprattutto, dico di agire nei confronti di chi finanzia e arma il Daesh».
Ai giovani che l’ascoltano in silenzio, Nadia lascia un compito: «Cercate di conoscere la nostra realtà e parlate ai vostri amici delle enormi sofferenze che il mio popolo, ma anche altre minoranze religiose cristiane e musulmane, stanno patendo in Iraq. Davvero non riesco a capire come tanti ragazzi nati e cresciuti in Occidente siano attirati dal Daesh e vadano a combattere per il Califfato. Una realtà totalmente contro l’umano».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Paolo Ferrario)
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