Il Comune di Milano vieta a un padre separato di battezzare la figlia di sei anni. Gli assistenti sociali hanno chiesto la ‘limitazione educativa’ dei genitori in materia religiosa. È l’ultima, bruciante sconfitta, per un padre separato su cui il sistema giudiziario sembra essersi accanito con un gusto quasi sadico, arrivando ad infliggere umiliazioni che non sembrano in sintonia né con la dignità né con il rispetto dovuti ad ogni persona.
Vittima di questa situazione un docente universitario milanese, 43 anni, che chiameremo Giorgio (nome di fantasia). A tre anni dalla separazione, pur non avendo commesso alcun reato, questo padre si trova privato del diritto della libertà personale (il Questore di Milano ha annullato i suoi documenti personali); del diritto di voto (il Comune di Milano ha cancellato il suo nome dalle liste elettorali); del diritto di essere retribuito come professore (il Tribunale ha disposto l’espropriazione del 99% dello stipendio e l’Università si è incredibilmente conformata); della responsabilità genitoriale (Il Tribunale ha disposto l’affidamento delle sue due figlie al Comune di Milano e ha nominato un rappresentante sostanziale e processuale delle stesse minori); del diritto all’abitazione (senza stipendio non è più in grado di pagare alcun canone di locazione); del diritto di difesa (i vari ricorsi depositati sono stati congelati dalle ‘lungaggini burocratiche’, per non pensare ad altre ragioni). Un tritacarne giudiziario così implacabile non tocca neppure ai malfattori più incalliti, mentre l’unica colpa di Giorgio sembra quella di aver tentato di difendere il suo matrimonio e, soprattutto, la possibilità di continuare a vedere ed educare le sue bambine, di 11 e 6 anni. Un caso limite? «In un certo senso sicuramente, visto che questa persona – commenta Ernesto Emanuele, presidente dell’Associazione famiglie separate cristiane – ha concentrato in sé tutto il peggio che possa capitare a una persona separata.
E questo dimostra la profonda ingiustizia della nostra legislazione su separazione e divorzio. Purtroppo in 25 anni di impegno a favore dei separati abbiamo visto tante situazioni altrettanto complesse e ingiuste». Intanto, dopo tre anni di inferno, la separazione giudiziale del docente universitario non si è ancora conclusa, visto che non c’è stata alcuna istruttoria. E quindi non si sa ancora per quanto tempo il malcapitato dovrà sopravvivere con 37 euro al mese (in attesa, forse, di un intervento ‘salvifico’ del giudice del lavoro). Quello che rimane a causa del combinato disposto determinato dal pagamento dell’assegno mensile versato alla moglie – non ancora ex – e dei vari pignoramenti disposti dal giudice. Come docente aggregato Giorgio avrebbe diritto a uno stipendio netto di 1.900 euro. «Tuttavia – spiega – siccome è già stato pignorato un quinto dello stipendio e io ho dovuto cedere un altro quinto per poter pagare il mutuo sulla casa coniugale (dove vivono mia moglie e le bimbe), lo stipendio è sceso a 1.087 euro. Dopo di che, nel giugno 2015 è intervenuto nuovamente il giudice, che ha disposto la distrazione dello stipendio di altri 1.050 euro.
Ecco perché in tasca mi rimangono solo 37 euro al mese». Eppure, i primi tempi dopo la separazione, determinata a suo dire da una relazione extraconiugale della moglie, la situazione sembrava essersi consolidata in modo soddisfacente per entrambi. Invece, alla seconda udienza il giudice, informato dell’impossibilità da parte dei due coniugi di trovare un accordo, ha fatto lievitare l’assegno mensile da versare e ha disposto una consulenza tecnica per verificare la capacità genitoriale.
«Gli psicologi però – racconta ancora Giorgio – hanno distrutto le prove e i verbali delle videoregistrazioni dopo aver consegnato i risultati, perché hanno annotato considerazioni difformi dalla realtà e, quando io ho sollevato il problema, il giudice mi ha dichiarato guerra. Così i consulenti hanno avuto buon gioco a richiedere il pagamento del loro compenso, che dal giudice è stato moltiplicato ben oltre i limiti consentiti». Altra tegola quella arrivata dal questore che, su richiesta della moglie (la quale ha deciso di revocare il consenso alla libera circolazione), ha disposto il ritiro del passaporto e l’annullamento della carta d’identità.
«E anche questa decisione mi ha danneggiato notevolmente, perché mi impedisce di partecipare a concorsi pubblici. Ho fatto ricorso al Tar, ma l’udienza non è ancora stata fissata». Infine l’ultima ‘punizione’, questa volta per mano del Comune a cui formalmente le bambine sono affidate: il divieto di Battesimo. «Sembra incredibile, ne sono consapevole – conclude il docente – ma mi hanno fatto capire di non insistere troppo perché potrebbero anche decidere l’affidamento delle mie figlie a una casa-famiglia. E a quel punto non le vedrei più. Ma come padre e come credente, l’impossibilità di impartire alla mia figlia più piccola il sacramento dell’iniziazione cristiana mi pesa sul cuore come un macigno. Non c’è nessuno che possa aiutarmi?».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Luciano Mola)
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