“Era il 21 maggio, quando alcune persone incappucciate sono entrate nel monastero e hanno prelevato me e Boutros, un volontario della comunità. Ci hanno portati in una automobile e poi ci hanno condotti nel deserto, dove siamo rimasti per quattro giorni, bendati e incatenati”. Questo l’incipit di una disavventura durata quattro mesi e venti giorni. A parlarne è il protagonista, padre Jacques Mourad, appartenente alla comunità del Monastero di Deir Mar Musa, fondato in Siria da padre Paolo Dall’Oglio.
Il sacerdote ha raccontato la sua esperienza stamattina, a Roma, presso l’Associazione Stampa Estera, nel corso di una conferenza organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Ha parlato delle violenze e delle minacce subite per mano dei suoi carcerieri, appartenenti all’Isis; dell’importanza della preghiera per sopportare una detenzione disumana; di un insperato dialogo con un aguzzino; della gioia della liberazione.
Come un calendario, p. Mourad ricorda tutte le tappe della sua detenzione. La domenica di Pentecoste, il 24 maggio scorso, è stato trasferito a Raqqa, proclamata capitale dello Stato islamico. “Per umiliarci, ci hanno trasferiti in un bagno – afferma -. Ma siamo stati contenti, perché essere umili di fronte alla violenza è proprio la nostra vocazione”.
Tra le quattro gelide mura di quel bagno, padre Mourad e il suo compagno Boutros hanno condiviso momenti di paura, di vergogna, finanche di collera. “Sono stati particolarmente difficili – la riflessione di p. Mourad – i momenti in cui ci dicevano che o saremmo diventati musulmani o ci avrebbero decapitati”. Di fondamentale importanza sono state allora la fede in Dio e la preghiera. “Ho vissuto un momento di grande sconforto, in cui pensavo che non ce l’avrei fatta, che sarei stato ucciso – spiega -. Poi però ho sentito come un grido che nasceva dentro di me, che mi diceva che sarei tornato alla libertà”.
Il viso del sacerdote siriano si colora di una luce di gioia, quando afferma convinto che “questa esperienza è stata per me anche molto intensa dal punto di vista spirituale”. Racconta infatti: “Ciò che mi ha aiutato a mantenere sempre una pace interiore sono state due cose. La prima è la preghiera del Rosario, ogni volta che mi rivolgevo alla Vergine Maria percepivo una forza indescrivibile. La seconda è la preghiera che sempre mi ha accompagnato nella mia vita di consacrato, quella di Charles Foucauld, che ha donato la sua vita per il dialogo con l’Islam”.
Mantener salda la fede, è stato il pilastro che non ha fatto cedere padre Mourad, nemmeno di fronte ai momenti di maggior tensione. Spiega ai presenti che l’ottavo giorno di detenzione un uomo vestito di nero è entrato nella sua cella. Al sacerdote sono immediatamente balzate alla mente le immagini delle atroci esecuzioni dell’Isis. Ha quindi pensato fosse giunto il momento della sua morte.
E invece, è accaduto l’inopinato. “Questo uomo si è avvicinato a noi due, ci ha chiesto i nostri nomi e se fossimo cristiani. Noi abbiamo risposto e, dopo di che, lui ci ha stretto le mani e si è seduto vicino a noi”, spiega. Un gesto che li ha stupiti, perché “normalmente questi estremisti nemmeno toccano i cristiani, in quanto considerati impuri”.
Il carceriere ha quindi avviato con loro una conversazione, creando un clima sereno. “Allora ho preso coraggio e gli ho chiesto il motivo del nostro rapimento”, racconta p. Mourad. E la risposta dell’uomo (uno dei capi dell’Isis) è stata: “Padre, consideri questo un ritiro spirituale”.
Non meno palpitante è stata un’altra tappa della sua prigionia. Il 4 agosto scorso gli jihadisti del Califfato hanno conquistato Qaryatayn, hanno preso in ostaggio la popolazione e l’hanno trasferita nella città di Palmira. Qualche giorno dopo un uomo, che p. Mourad descrive come “un emiro”, è entrato nella loro cella e li ha prelevati.
“Siamo saliti su un camioncino e abbiamo viaggiato per ore”. riavvolge il nastro della memoria p. Mourad. Il quale dice che non sapeva dove stessero andando, fin quando il mezzo si è fermato all’interno di un tunnel. “Ci hanno fatto scendere e ci hanno condotti verso una porta, dentro la quale ho visto un giovane della mia parrocchia, e ho potuto abbracciarlo”, spiega p. Mourad. Che aggiunge con un pizzico d’emozione: “Poi mi sono girato e ho visto tutti i 250 cristiani che erano stati rapiti: bambini, donne, anziani, disabili… È stato un momento molto duro per me”.
Momento, questo, che ha rappresentato il preludio di una svolta. “Il primo settembre tutti insieme siamo stati riportati a Qaryatayn, liberi, ma ci è stato proibito di lasciare il villaggio”, afferma. “Eravamo sotto protezione, dietro il pagamento di una tassa speciale”. Concessioni che sono state il frutto di un accordo stipulato da loro, cristiani di Qaryatayn, con degli emissari di Abu Bakr al Baghdadi, guida dell’Isis.
Padre Mourad ricorda che avevano anche iniziato a celebrare di nuovo le Messe, ma “in luoghi nascosti, sotto il suolo”. Come ai tempi delle catacombe, “non potevamo mostrare i segni della nostra fede”, afferma il sacerdote.
Una situazione difficile, testimoniata dal fatto che “non c’era elettricità, non c’era cibo né acqua”. È così che p. Mourad ha deciso di sfidare il divieto di lasciare la città per tornare al mondo libero. Grazie all’aiuto di un abitante musulmano e di un sacerdote siro-ortodosso, il confratello di Dall’Oglio è riuscito a fuggire, insieme alla maggioranza dei prigionieri cristiani.
P. Mourad è tornato in libertà il 10 ottobre. Quella fuga è stata tuttavia pagata con la propria pelle da otto persone. Vittime che p. Mourad ricorda sempre. Ma insieme a loro, nelle sue preghiere, c’è posto per i vescovi e i sacerdoti di cui ancora non si hanno notizie. E anche per i suoi aguzzini. Del resto l’appello finale di p. Mourad, in linea con il Giubileo appena iniziato, è ad avere uno sguardo puro di Misericordia, “senza alcun desiderio di vendetta”.
Redazione Papaboys (Fonte www.zenit.org/Federico Cenci)