Coinvolge oramai centinaia di migliaia di persone la campagna di mobilitazione sui social network per salvare dall’impiccagione Reyhaneh Jabbari la ventiseienne iraniana condannata per l’omicidio, di un uomo che l’ha violentata. La sentenza è stata emessa nel 2009 senza la presenza di un avvocato e nonostante la ragazza abbia da subito confessato la legittima difesa. L’esecuzione già rinviata due volte per motivi ignoti, è prevista tra dieci giorni. Il servizio di Gabriella Ceraso per la Radio Vaticana:
La giovane Reyaneh è in carcere in Iran da quando, all’età di 19 anni, nel 2007, fu arrestata perché si era difesa durante lo stupro di un uomo eccellente, un impiegato del Ministero iraniano dell’Intelligence. Per mesi è stata senza contatti con la famiglia e senza una difesa, l’avvocato tuttora dice di averla vista in tutto due volte in 7 anni.Oggi la sua voce, a 9 giorni dall’esecuzione, arriva al mondo grazie alle Ong, tra cui Neda Day. Il portavoce Taher Djafarizad:
“Viene avvicinata da un signore, che sarebbe la persona che è stata uccisa, che la invita nella sua casa per arredarla, perché lei è un’arredatrice: lei entra e poi si arriva a questa violenza. Reyhaneh viene arrestata: in galera è stata torturata. Fin dall’inizio aveva spiegato tutta la vicenda ma purtroppo non è stata mai ascoltata”.
“Troppi dubbi sulle circostanze dell’omicidio”, spiega Amnesty International; “occorre un processo credibile” rilancia Human Rights Watch chiedendo alle autorità iraniane una moratoria sulle condanne a morte, alla luce di “violazioni sostanziali e procedurali” nell’attuazione delle norme sulla pena capitale. Ed è sul web che le voci si amplificano: all’ #save reyhanehjabbari in migliaia chiedono a Teheran di fermarsi. Tra loro anche la mamma di Reyane che si appella alle cancellerie internazionali. Già la Farnesina e i vescovi italiani si sono impegnati, e ora la mobilitazione sembra più importante che mai. Ancora Taher Djafarizad:
“Ricordiamo il caso di Sakineh, la donna condannata alla lapidazione: siamo riusciti a prendere un avvocato italiano, a tradurre tutte le sentenze, e l’abbiamo portato al Parlamento europeo. La signora Sakineh attualmente è viva e vive con i suoi due figli. La campagna internazionale ha il suo peso”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana