Gli scontri, racconta il presule, hanno avuto inizio giovedì 5 giugno, ma in principio erano circoscritti ad alcuni quartieri della parte occidentale della città. «L’esercito ha cominciato a bombardare le aree interessate, ma poi nella notte tra ieri e lunedì, improvvisamente le forze armate e la polizia hanno abbandonato Mosul, lasciandola in balia degli aggressori
». Più della metà degli abitanti e l’intera comunità cristiana sono immediatamente fuggite verso la vicina piana delle Ninive. «Fino alle 5 di ieri mattina abbiamo accolto le famiglie in fuga e abbiamo cercato ti trovare loro un alloggio nelle scuole, nelle aule del catechismo, nelle case abbandonate», spiega monsignor Nona che ora si trova a Tall Kayf, un villaggio posto a circa tre chilometri a Nord di Mosul.Si ritiene che l’attacco sia opera dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), organizzazione terroristica legata ad al-Qaeda, nota per gli efferati attacchi anti-cristiani commessi in Siria. Il presule crede tuttavia che possano essere coinvolte anche altre formazioni. «Non sappiamo ancora di quali gruppi si tratti, alcuni parlano dell’ISIS, altri pensano vi siano degli elementi di diversa appartenenza. Dobbiamo aspettare per comprendere meglio la reale situazione. Di certo gli estremisti ci sono, in molti li hanno visti pattugliare le strade».
Ovviamente la presenza jihadista preoccupa fortemente i cristiani ed in queste ore è già stata diffusa la notizia di attacchi da parte dell’ISIS a quattro chiese e un monastero. «Non abbiamo ricevuto minacce – racconta il presule – perché ormai tutti i fedeli hanno abbandonato la città. Chissà se mai potranno mai farvi ritorno». Nel 2003 la comunità cristiana di Mosul contava circa 35mila fedeli. Negli undici anni successivi all’inizio della guerra, il numero era tragicamente sceso a circa 3mila. «Ora non vi è probabilmente rimasto più nessuno».
«Continuiamo a pregare perché il nostro paese possa finalmente trovare la pace», afferma monsignor Nona che in questi terribili momenti ha dovuto esortare ancora una volta i suoi fedeli a non perdere la speranza. «Non è semplice dopo tanti anni di sofferenze, ma noi cristiani iracheni siamo saldi nella nostra fede e dobbiamo conservare la speranza, pur nella persecuzione. È un’enorme sfida, soprattutto dopo quanto è accaduto in questi giorni». Di Marta Petrosillo
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