R. – Secondo me, questa campagna ha due motivazioni importanti. La prima: recuperare Mosul può cambiare un po’ le sorti della situazione in Iraq, anche se l’Isis se lo aspetta, tant’è che ha scatenato un’offensiva contro Kirkuk che non ha alcuna possibilità di riuscire, ma lo ha fatto per cercare di dirottare la pressione che si sta formando intorno alla città di Mosul. Qual è l’obiettivo di fondo di questa dichiarazione americana, di esserci sul terreno, insieme alle forze irachene? E’ per ri-bilanciare un po’ il fatto che i peshmerga sono quelli che hanno tenuto la situazione nel nord dell’Iraq. Avevano anche delle motivazioni, degli incentivi, importantissimi, perché respingere l’Isis ha permesso anche di estendere il loro controllo su zone di cui loro rivendicavano la “curdicità”. E in questo senso ci sono anche riusciti. Se si riconquista Mosul anche con intervento di truppe irachene, di consiglieri americani e così via, il congiungimento tra le zone nei territori curdi riconosciuti e quelli dell’est si compirebbe. Quindi, tutta la zona nord-nordest dell’Iraq diventerebbe una zona di forte influenza curda. Così come la suddivisione delle risorse idriche della diga di Mosul diventerebbe di gestione congiunta. L’impressione che tutti hanno avuto è che i bombardamenti americani abbiano aiutato moltissimo ovviamente i curdi, però di fatto hanno poi favorito l’espansione dei curdi su risorse idriche e di terra. Quindi, in questo modo si recupererebbe l’immagine delle truppe irachene a vantaggio, anche, dell’immagine dell’aiuto americano.
D. – Questo significa che, almeno in quella parte, l’Is avrebbe i giorni contati?
R. – Lei pensi che partecipa anche Barzani, è sceso sul campo, con le tende. Quindi, se Barzani partecipa attivamente a questa operazione, vuol dire che sono quasi convinti di farcela. Io ho però preoccupazioni molto serie in merito al fatto che la situazione nella parte curda, o vicino alle zone curde, non è mai stata così grave se non per la faccenda della diga di Mosul, che rischia di crollare da un momento all’altro, ma quello perché è un progetto sbagliato da un punto di vista ingegneristico, è una crisi annunciata. Invece, il problema serio, su cui è da sconsigliare vivamente un intervento delle truppe irachene è nella zona di al-Anbar, in cui invece l’Isis continua a essere molto forte perché è il suo retroterra vero, che lo congiunge anche al retroterra siriano. Lì, purtroppo, le tribù sunnite sono ancora scottate dalle false promesse che avevano ricevuto dagli americani, quando si trattava di combattere al Qaeda, ecc. E di fatto, le tribù sono penalizzate dalla cattiva gestione politica del governo centrale che le ha emarginate. Quindi, riconquistare la fiducia di queste tribù è una cosa lunga: non è il caso di avventurarsi in riconquiste di terra che poi non potrebbero essere mantenute. Però, lì c’è tutta la filiera delle dighe che possono essere utilizzate come armi, dalla diga di Haditha a quella di Falluja, e a tutti i barrage che gestiscono il flusso dell’Eufrate verso Baghdad e verso tutti i territori al di sotto, cioè le zone agricole da cui dipende la vita delle comunità sciite. Lì bisogna cercare, secondo me, di mantenere invece il discorso dei bombardamenti per evitare che l’Isis, che assedia queste dighe, possa impadronirsene. Anche se occupassero le dighe per pochissime ore, sono in grado, come hanno già dimostrato, di aprire le chiuse delle dighe e inondare determinati territori, o di chiuderle a monte e quindi privare dell’acqua una serie di città e villaggi.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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