R. – La celebrazione questa notte è stata molto bella, in una tenda, con oltre un migliaio di persone; la liturgia è stata in lingua caldea. Da parte mia, ho detto che non eravamo soli in questo momento così importante della nostra fede, così importante da un punto di vista spirituale per tutti coloro che si trovano in difficoltà. Questa mattina ho celebrato in Sulejmanija, dicendo queste stesse parole e naturalmente incoraggiando le oltre 400 famiglie che si trovano qui, rifugiate nella zona.
D. – Che situazione ha trovato lì a Sulejmanija ?
R. – C’è una situazione distesa. Le autorità che ho incontrato sono molto cooperative. Naturalmente i cristiani oggi sono in grande festa e credo anche che loro vivano questa Pasqua in modo unico. Mai prima d’ora, c’era stata per loro una celebrazione fuori dal proprio villaggio, fuori dalla propria terra. C’è anche la speranza che la prossima Pasqua possa essere celebrata di nuovo a casa e nei propri villaggi.
D. – Ieri invece nella tendopoli di Erbil come stavano i cristiani?
R. – I cristiani che ho incontrato, soprattutto ad Erbil, nel campo che ho visitato, erano in una situazione abbastanza penosa. Vivono, infatti, in una struttura dove purtroppo i servizi e l’ambiente non sono proprio dei migliori. Abbiamo, però, ricevuto la certezza da parte delle autorità che subito dopo Pasqua saranno tutti trasferiti in un centro, dove vi sono delle roulotte, dei container adibiti a piccole case, dove credo, sotto tutti i punti di vista, la loro dignità, la loro collocazione, il loro ambiente sarà migliore. Certo, in queste strutture “rimediate” e in simili forme di convivenza, le malattie aumentano soprattutto per gli anziani. Le malattie hanno afflitto e affliggono ancora la popolazione.
D. – Papa Francesco ha chiesto nell’Urbi et Orbi pace per la Siria e per l’Iraq, perché cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza fra i gruppi. C’è stato anche un appello alla comunità internazionale perché aiuti in questo momento di crisi, soprattutto per i rifugiati…
R. – Naturalmente la tragedia non riguarda solamente i cristiani, i cristiani sono solo una parte. Per esempio, a Sulejmanija, il governatore mi diceva che hanno oltre 220 mila rifugiati: ci sono persone che vengono dalla Siria, che vengono anche dalla zona di Falluja e che vengono dal nord. Non si tratta solo di cristiani naturalmente, ma anche di musulmani, che sono la grande maggioranza. E’ chiaro, quindi, che l’aiuto internazionale, che comunque finora non è mancato – ma si può sempre migliorare – è auspicabile, soprattutto nella speranza che il Paese, una volta liberato, possa permettere a tutta questa gente di ritrovare la propria vita nei luoghi, nei villaggi, nelle terre da cui proviene ed è originaria.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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