«L’Iraq è il mio posto»-. Come ha potuto padre Ragheed resistere tutto quel tempo, sentendo la morte avvicinarsi passo a passo? Anzitutto, la dedizione convinta alla vocazione. Un amico musulmano, il professore Adnam Mokrani, racconta di avergli sentito dire, subito dopo l’ordinazione a Roma, «da questo momento, sono morto a me stesso». Subito dopo l’ordinazione gli era stato proposto di diventare parroco in Irlanda, paese che conosceva bene per aver alloggiato al Pontificio Collegio irlandese durante i suoi sette anni romani e per aver trascorso i mesi estivi in Irlanda, presso il santuario di Lough Derg. Ma lui aveva rifiutato perché voleva tornare nel già allora tormentato Iraq: «Quello è il posto cui appartengo, quello è il mio posto». Quindi c’era il completo affidamento a Dio. Chiamato a pronunciare una testimonianza al Congresso eucaristico italiano del 2005, aveva detto: «Senza domenica, senza Eucarestia, i cristiani iracheni non possono vivere. I terroristi cercano di toglierci la vita, ma l’Eucarestia ce la ridona. Qualche volta io stesso mi sento fragile e pieno di paura. Quando, sollevando l’Eucarestia, dico le parole: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”, sento in me la Sua forza: io tengo in mano l’ostia, ma in realtà è Lui che tiene me e tutti noi, che sfida i terroristi e ci tiene uniti nel suo amore senza fine». E ancora, c’era il forte senso di appartenenza a un popolo, il popolo di Dio: «I sacerdoti dicono Messa tra le rovine causate dalle bombe. Le mamme, preoccupate, vedono i figli sfidare i pericoli e andare al catechismo con entusiasmo. I vecchi vengono ad affidare a Dio le famiglie in fuga dall’Iraq, il paese che loro invece non vogliono lasciare, saldamente radicati nelle case costruite con il sudore di anni».
Accanto a Santa Brigida-. Nel mese di maggio del 2007 si esprime veramente come se fosse consapevole che il suo destino sta per compiersi. Dopo un attacco alla parrocchia durante la domenica delle Palme scrive: «Proviamo empatia con Cristo, che entra in Gerusalemme con la piena consapevolezza che la conseguenza del Suo amore per l’umanità sarà la croce. Quindi, mentre i proiettili distruggono le finestre della nostra chiesa, offriamo le nostre sofferenze come segno di amore per Cristo». E in un’altra e-mail, poco prima della morte: «Ogni giorno aspettiamo l’attacco decisivo, ma non smetteremo di celebrare Messa. Lo faremo anche sotto terra, dove siamo più al sicuro (il 27 maggio una bomba era esplosa davanti alla chiesa ferendo due guardie, e da quel momento la Messa veniva celebrata nei sotterranei, ndr). In questa decisione sono incoraggiato dalla forza dei miei parrocchiani. Si tratta di guerra, guerra vera, ma speriamo di portare questa Croce fino alla fine con l’aiuto della Grazia divina». A Roma una reliquia di padre Ganni si trova nella basilica di San Bartolomeo all’Isola, collocata nella cappella dei martiri dell’Asia, dell’Oceania e del Medio Oriente. Si tratta della stola che indossava in occasione della sua ultima Messa, quella subito dopo la quale venne ucciso. Nella cupola della Cappella di Tutti i Santi d’Irlanda, al Pontificio Collegio irlandese, padre Ganni è raffigurato in un mosaico opera del gesuita artista Marko Rupnik accanto a santa Brigida. Durante un reportage nel 2008 l’inviato di Tempi raccolse sul posto la notizia che poco dopo l’uccisione dei quattro cristiani, mentre i terroristi collocavano dell’esplosivo sotto i loro corpi per cercare di causare la morte di chi si fosse avvicinato per recuperare i cadaveri, un musulmano che abitava nei pressi abbia affrontato gli uccisori apostrofandoli così: «Avete ucciso degli uomini di pace, degli innocenti. Perché fate questo?». Fu caricato a forza su di un’auto e portato via. Il giorno dopo il suo corpo crivellato di proiettili fu trovato in un’altra zona di Mosul. Fu assassinato con la stessa arma che aveva ucciso padre Gianni. di Rodolfo Casadei
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