Fra loro, c’è mons. Amel Shamon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, che al microfono di Emanuela Campanile della Radio Vaticana spiega necessità e stato d’animo di questo momento:
R. – Sicuramente, il problema più grosso per noi rifugiati è trovare le case per tutti. Questo è un grosso problema. Abbiamo centinaia di famiglie nei container e anche Aiuto alla Chiesa che soffre ha partecipato per circa 150 container, un container per ogni famiglia. Ma abbiamo anche un altro progetto: prendere le case in affitto e anche in questo Aiuto alla Chiesa che soffre ci ha sostenuto molto. Rimane il bisogno delle case, perché il numero delle famiglie rifugiate in Kurdistan è molto alto. Quindi, il problema più grosso è quello delle case.
D. – Come siete stati accolti dalle comunità di questa zona?
R. – Veramente non abbiamo nessun problema con le comunità locali di questa zona, né in quella dei curdi o di altre etnie. Perché non siamo solo noi i rifugiati. Ci sono anche altre etnie rifugiate qui, in Kurdistan, gli arabi sunniti, gli sciiti e altre… Ringraziamo Dio che non abbiamo nessun problema con le comunità locali.
D. – A Mosul, la comunità cristiana quanto contava, in quanti eravate?
R. – Prima dell’ultima crisi, nella stessa città di Mosul, tutti i cristiani contavano circa 2.000 famiglie. Il numero non era preciso perché c’erano sempre le famiglie che andavano via, ma prima della crisi c’erano circa 2.000 famiglie.
D. – Che cosa chiedono queste persone al loro pastore, in un momento in cui il loro pastore condivide la loro stessa sorte?
R. – All’inizio della crisi, chiedevano sempre cose materiali: trovare una casa, trovare qualcosa per mangiare… Ma col passare del tempo questi bisogni sono cambiati, perché adesso ci chiedono del futuro: di quale futuro ci auguriamo qui dopo circa sei mesi, quale futuro possiamo avere qui, se torneremo alla nostra terra, alle nostre case o rimarremo qui. A queste domande non posso rispondere, perché non sappiamo cosa succederà in futuro. Ma abbiamo questi problemi e queste difficoltà e la nostra gente sta perdendo la fiducia nel futuro e in questa terra.
D. – Mons. Nona, Mosul è il nome che diedero gli arabi all’Antica Ninive, la capitale assira, citata anche nella Bibbia, una zona di appartenenza millenaria. E’ pensabile che la presenza cristiana venga spazzata via così, che cosa secondo lei potrebbe succedere?
R. – Può succedere che la situazione rimarrà così. Per noi è molto importante il tempo. Quanto più rimarremo in questa situazione senza trovare una soluzione, tanto più perderemo le nostre famiglie, perché tutti i giorni ci sono famiglie che ci lasciano, che vanno via. Speriamo di restare, anche se come piccola comunità, ma avere la speranza che rimarremo qui.
D. – Ci stiamo avvicinando a Natale, un periodo in cui dovrebbe risorgere la speranza, un periodo in cui bisognerebbe anche, come cristiani, pregare di più…
R. – Certo. Noi attendiamo con gioia la nascita del nostro Signore Gesù fra i nostri rifugiati, fra i nostri fedeli cristiani, ma anche con tanta preghiera. Ci stiamo preparando a celebrare il Natale con gioia, con una fede forte. Nessun ostacolo può farci lasciare la nostra fede. Noi cristiani, soprattutto i cristiani dell’Iraq, abbiamo lasciato di tutto per non lasciare la nostra fede e per questo siamo orgogliosi della fede cristiana, siamo orgogliosi di essere cristiani, nonostante viviamo in una situazione molto difficile. La nostra vita cristiana è più importante di tutte le altre cose. Speriamo che il Signore quest’anno nasca fra la gente, fra i nostri cristiani, e che troveremo presto la soluzione per la nostra situazione.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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