Mosul, seconda città irachena, da ieri è sotto il controllo di jihadisti dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil) vicini ad Al Qaeda. Gli jihadisti hanno fatto sventolare la loro bandiera nera anche su gran parte della provincia di Ninive controllando diversi quartieri di Kirkuk, roccaforte curda e centro petrolifero. La notizia è confermata dal locale arcivescovo caldeo, monsignor Emil Shimoun Nona, che, trovato rifugio in una zona a nord di Mosul, parla “di decine di migliaia di persone in fuga”. Ma sarebbero molte di più, visto che, racconta, “la città si è quasi dimezzata”. Dei quasi tre milioni di abitanti si stima che ne siano rimasti “poco più della metà”. Le cifre dell’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sembrano confermarlo. Solo nel fine settimana scorso, con l’aumento delle violenze, si sarebbero spostate oltre 500.000 persone dentro e fuori Mosul. A nulla è servito l’invito del premier iracheno, Nouri al Maliki, ai civili a mobilitarsi contro gli jihadisti. Accuse al governo di Baghdad sono arrivate dal premier della regione autonoma del Kurdistan, Nechirvan Barzani. A suo dire il governo centrale “non ha protetto abbastanza Mosul ed ha impedito alle forze di sicurezza curde d’intervenire quando i miliziani qaedisti hanno assaltato la città”. È la prima volta che i fondamentalisti islamici assumono il controllo di un’intera provincia nel Paese, dove l’Isil già controlla Fallujah e zone della provincia occidentale di al Anbar, vicino Ninive. Il servizio è di Daniele Rocchi dell’Agenzia Sir.
Eccellenza, quali sono le ultime notizie che giungono da Mosul?
“La situazione è drammatica. Mosul è sotto il controllo degli insorti. Le nostre famiglie hanno abbandonato la città. Abbiamo chiuso tutte le chiese. Ieri sono andati via esercito regolare e polizia. La gente ha molta paura e a decine di migliaia, musulmani e cristiani, stanno ancora uscendo dalla città per trovare rifugio nei villaggi, molti dei quali cristiani, nella pianura di Ninive. In città ci sono persone armate, iracheni e stranieri, che girano ma non sappiamo chi siano”.
I civili rimasti hanno risposto all’appello di al Maliki a combattere?
“La paura è grande e nessuno, a quanto si sa, a Mosul ha raccolto l’invito del premier ad armarsi per fronteggiare i fondamentalisti. Chi può combattere contro questi uomini armati e addestrati? Sappiamo di cosa sono capaci, la loro fama di uccidere senza problemi è nota a tutti”.
Avete notizie di attacchi mirati alla minoranza cristiana?
“I nostri cristiani, circa 1.000 famiglie, sono andati tutti via. Sappiamo che è stata saccheggiata una nostra chiesa, quella del Santo Spirito. Circa 50 fondamentalisti hanno portato via tutto quello che c’era. Altri armati hanno occupato e preso diverse abitazioni”.
Perché l’esercito e la polizia hanno abbandonato la città senza combattere?
“È la domanda che ci poniamo anche noi senza darci, tuttavia, una risposta. L’esercito poteva fronteggiare l’avanzata fondamentalista con carri armati e armi che ha in dotazione. Invece ha abbandonato la città. Abbiamo poi sentito in tv che ci sono state polemiche a livello politico su chi dovesse difendere la città ora in mano ai combattenti”.
Cosa si sta facendo per venire incontro alla popolazione in fuga?
“Credo che la cosa più importante adesso sia ristabilire la sicurezza e fronteggiare i bisogni primari di questa gente. Gli sfollati nella Piana di Ninive sono fuggiti velocemente senza portare dietro molte cose e non possono resistere a lungo. Per ora hanno trovato rifugio nelle scuole e nelle aule di catechismo. Servono subito aiuti di ogni genere. Ieri è arrivata una famiglia con due bambini di 5 e 7 anni, avevano camminato da Mosul per oltre sei ore. Impauriti, assetati, affamati, avevano bisogno di tutto e abbiamo fatto quello che potevamo per assisterli. Ma serve tanto aiuto e soprattutto rientrare nelle proprie case”. A cura di Redazione Papaboys.