I raid contro le postazioni dei fondamentalisti sono partiti poco prima dell’una, ora italiana e hanno preso di mira postazioni d’artiglieria utilizzate contro le forze curde che difendono la città di Erbil. Due i bombardieri impiegati, secondo il portavoce statunitense John Kirby. Il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha sostenuto che l’aviazione è in grado di individuare e colpire anche singoli militanti che prendano di mira personale americano nella regione o le migliaia di persone costrette alla fuga dai combattenti dello Stato islamico. Si tratta di sfollati – almeno 200 mila secondo l’Onu – appartenenti alle minoranze religiose irachene, in particolare cristiani e yazidi: per loro l’aviazione statunitense ha effettuato lanci di generi di prima necessità, così come farà nei prossimi giorni la Royal Air Force britannica.
Nelle scorse ore, dando il via libera ai raid, Barack Obama aveva accusato lo Stato islamico – che aveva conquistato varie località della piana di Ninive e la diga di Mosul – di mirare a un “genocidio” in Iraq.
Ad Arbil nel Kurdistan iracheno dove stanno affluendo centinaia di migliaia di profughi cristiani e di altre minoranze è don Behnam Benoca, originario di una delle città della piana di Ninive ora nelle mani dei miliziani del cosiddetto stato islamico . Così spiega al microfono di Gabriella Ceraso la gravità di quanto sta accadendo:
R. – Sono originario di una cittadina che si chiama Bartella, accanto c’è Karamlesh e poi Qaraqosh. Sono le tre città che sono state prese ieri notte. Si tratta di città molto antiche, alcune sono state fondate nel 600 a.C. quindi stiamo parlando di popoli presenti fin dall’inizio della storia dell’Iraq. Oggi, stanno andando via. Per questo motivo, chiediamo a tutti quanti un aiuto sistematico se dovesse finire la nostra storia qui, con una perdita per tutta l’umanità.
D. – Lei oggi è ad Erbil, nel Kurdistan, dove stanno arrivando i profughi cristiani e non. Qual è la loro situazione ad oggi?
R. – Ce ne sono migliaia e migliaia… Non so dire i numeri esatti perché la gente non è stabile si sta muovendo ancora di città in città. Forse saranno più di 40 mila.
D. – Che assistenza potete dare?
R. – Solo assistenza per la gente comune, per le parrocchie e per la diocesi di Erbil. Non c’è ancora un’assistenza organizzata, per esempio, dall’Onu. Per questo, la sofferenza si duplica giorno dopo giorno. Moltissime persone si trovano per strada, sotto il sole. Oggi ci sono circa 45 gradi all’ombra, figuriamoci al sole quanti saranno. Non ci sono posti per dormire, dormono all’aperto, nei campi.
D. – La sicurezza com’è, dove possono andare per stare sicuri?
R. – Sono arrivati qui perché hanno trovato nella città di Erbil la sicurezza ed è sicura. Però, non possono sopportare una condizione che non è umana, né degna per l’uomo. Fin quando potranno resistere a stare all’aperto, senza cibo, senza acqua? Anche se poi tornano nelle loro case non abbiamo più la certezza che nel futuro non soffriranno la stessa cosa.
D. – L’offensiva dello Stato islamico stamattina hanno detto che continuerà. È questo quello che preoccupa?
R. – Il punto interrogativo adesso è questo: come mai l’esercito iracheno non lo può affrontare? Come mai sono riusciti a entrare e a conquistare città nel centro dell’Iraq così facilmente? Questa è una preoccupazione soprattutto per i cristiani, per le minoranze che è gente comune, pacifica, che non ha armi.
D. – L’avrete saputo che gli Stati Uniti hanno deciso per un intervento con raid mirati aerei, ma si sono impegnati anche per aiuti umanitari. Di tutto questo vedete già qualcosa?
R. – Da qui non sappiamo con esattezza cosa sta succedendo sul campo di battaglia: se gli americani siano già intervenuti o no. Speriamo ci sia un intervento molto forte, da una parte per difendere il posto dove ci troviamo, il Kurdistan e la zona della Piana di Ninive, cacciarli via via anche da Mosul e da altre città per ridare la pace a tutti gli iracheni. Dall’altra parte, speriamo che gli aiuti umanitari arrivino al più presto possibile, perché la condizione è veramente tragica.
D. – Di cosa c’è bisogno?
R. – Di sicurezza e di aiuti umanitari urgenti. Alcuni sono andati fuori dall’Iraq in questi ultimi giorni, altri non lo possono fare perché non hanno i passaporti: gli sono stati sequestrati dai terroristi che si trovano nella Piana di Ninive. Senza documenti, non possono andare da nessuna parte. Non potrebbero nemmeno stare in Iraq oggi, perché per spostarsi servono i documenti. Quindi, le difficoltà che abbiamo qui sono di livello molto alto, non sono solo difficoltà di tipo umanitario.
D. – E’ stato detto tanto dalla Chiesa in questi giorni, si è parlato di “genocidio”. Come definirebbe quello che sta accadendo?
R. – Con termini religiosi direi “persecuzione” religiosa, ma anche “genocidio” contro una popolazione che oggi sta per essere cancellata dalla faccia della terra.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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