I peshmerga hanno conquistato almeno tre villaggi e aperto una via attraverso la quale adesso potrebbe essere possibile mettere in salvo chi, in estate, non era riuscito a lasciare la montagna, né attraverso i primi ponti aerei né via terra, verso la Siria. «Aspettiamo questo passaggio da cinque mesi, 35 città in attesa, curdi e iracheni ci hanno sempre detto che sarebbero arrivati, un giorno dopo l’altro abbiamo aspettato combattendo con i nostri mezzi», commentava martedì, primo giorno di raid, il capo tribù yazida Ghazi Murad, che in questi mesi con il suo gruppo di circa 500 uomini ha difeso e continua a difendere dagli attacchi dei miliziani le zone in cui sono accampate le famiglie. Le uccisioni, i rapimenti delle donne, le conversioni forzate hanno fatto la tragedia di un popolo la cui storia millenaria affonda le radici proprio nell’area in cui i terroristi dell’Is hanno iniziato la propria espansione. Prima una persecuzione feroce e poi un’emergenza umanitaria altrettanto dura: mancano medicine, cibo, latte, scarpe. Una ventina di bambini nell’ultimo mese sono morti di stenti, molti altri soffrono il freddo e sono malati. Gli aiuti fino adesso sono stati insufficienti e piccoli gruppi armati negli ultimi mesi hanno cominciato ad effettuare bliz nei villaggi assediati per reperire cibo da portare sulle alture. Le linee telefoniche tagliate e l’assenza dei collegamenti Internet hanno isolato ancora di più la comunità yazida.
«Entriamo nelle città con la forza, prendiamo quello che serve e scappiamo. Ma nelle strade e nelle case, quando non vengono bruciate dai soldati, ci sono le bombe, è tutto minato», spiega ancora Ghazi. L’Is, col grosso delle truppe a Mosul, ha piazzato nei villaggi ai piedi della montagna circa venti, trenta combattenti con i compito di vigilare, mantenere l’assedio e continuare le persecuzioni con armi e i mezzi dell’esercito iracheno, abbandonate in estate durante la prima grande offensiva militare del Califfato. I combattenti yazidi, armati con qualche kalashnikov avuto dai peshmerga curdi e soprattutto le poche armi acquistate di tasca propria al mercato nero (gestito in Siria dagli stessi Daahs, l’Is ), hanno tenuto la posizione, impedendo che i miliziani raggiungessero anche la popolazione sopravvissuta alle persecuzioni. «Sentiamo dei bombardamenti, in questi giorni abbiamo trovato tanti morti. Quando uccidiamo uno di loro, o troviamo un loro cadavere, scopriamo che in tasca hanno medicinali con cui si danno forza e alcool. Non c’entrano nulla con la religione, però tentano di convertirci e tagliano la testa ai nostri bambini, le mani, i piedi…».
Secondo fonti del Kurdistan iracheno, i bombardamenti contro le postazioni dei terroristi hanno consentito la riconquista di un’area di circa centro chilometri. Tra i jihadisti uccisi molti comandanti, tra cui un emiro del Califfato Abu Aisha al Hijazi. Anche in queste ore si combatte. E in una nota il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, annuncia l’uccisione di 126 miliziani nella battaglia per il controllo dell’area di Zammar, a ovest di Mosul.
Di Sara Lucaroni per Avvenire
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