Strage in una moschea sunnita nella provincia settentrionale irachena di Diyala: almeno 68 fedeli sono rimasti uccisi in un attacco portato da miliziani sciiti, fedeli al governo di Bagdad, che avrebbero sparato contro la gente durante la preghiera del venerdì. Lo hanno riferito fonti della sicurezza, ma non è chiaro cosa abbia scatenato l’attacco e se in quel momento i miliziani fossero impegnati in combattimenti contro i jihadisti dello Stato islamico (Is).
Su tutto il fronte iracheno si combatte, fra esercito e peshmerga curdi da una parte e milizie dell’Is dall’altra. Prima dell’alba i peshmerga hanno lanciato un’offensiva per riconquistare la città di Jalawla, a nord-est di Bagdad, caduta nelle mani dei jihadisti dell’Is l’11 agosto scorso. “I peshmerga avanzano su diversi fronti”, afferma un portavoce del governo curdo, e avrebbero già ripreso diverse posizioni ai miliziani dell’Is.
Un aiuto significativo arriva ancora dai bombardamenti americani: trentacinque uomini dello Stato Islamico sono rimasti uccisi in un bombardamento delle forze aeree Usa vicino a Mosul.Si registrano problemi invece per la fornitura di armi – decisa dall’Occidente – a sostegno all’esercito curdo. A denunciarli è Rowsch Shaways, ex vice premier e oggi alla guida dell’offensiva dei peshmerga. “Non abbiamo ricevuto armi dai nostri partner internazionali – ha detto – è Bagdad la causa per cui questo non è avvenuto”, dice accusando il governo di Bagdad, alle prese con il passaggio di testimone tra Nouri al-Maliki e Haider al-Abadi.
L’allarme rifugiati. Circa 700.000 rifugiati iracheni – scrive il quotidiano Repubblica – sono scappati nella regione autonoma curda per sfuggire alla furia jihadista. Lo ha comunicato l’agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), specificando che gran parte dei profughi ha attraversato i confini all’inizio di giugno, quando iniziò l’avanzata dei miliziani del Califfato islamico. Ma sono aumentati di 100.000 unità rispetto ai 600.000 calcolati all’inizio della settimana.