Il filmato della distruzione La conferma della distruzione di Nimrud, denunciata dagli iracheni a marzo, è arrivata nelle ultime ore con un video pubblicato online dall’Isis. “Grazie a Dio, abbiamo distrutto tutto quello che è stato adorato senza Allah”, recita un miliziano all’inizio del filmato, di oltre sette minuti. Chi ha condannato le altre distruzioni, quelle nel museo di Mosul e nella cittadina di Hatra è “una canaglia” e i musulmani che hanno criticato lo Stato islamico “non hanno Allah nel cuore”. Poi segue la distruzione: un jihadista fa a pezzi un bassorilievo con una fresa circolare. Un altro prende a mazzate una statua. E ancora, picconate alle mura degli edifici, martelli pneumatici per frantumare i reperti. Infine i bulldozer, che entrano in campo per radere letteralmente al suolo il sito, che risale a oltre 3.000 anni fa. Quindi l’esplosivo, chili e chili che vengono fatti detonare accanto a ciascun obiettivo. L’Unesco ha bollato la distruzione come “un crimine di guerra”.
Nimrud, la biblica Calah, fu fondata dal re Shalmaneser (1274-1245 a.C.) e divenne capitale dell’impero assiro sotto Assurbanipal II (883-859 a.C.) arrivando a contare 100.000 abitanti. “Abbatteremo le croci e demoliremo la Casa nera in America”, tuona un altro miliziano, riferendosi alla cristianità e a Washington. L’ennesima minaccia contro gli Usa e i “crociati” rinverdita negli ultimi giorni da una vera a propria campagna mediatica sui social network e il video “Bruceremo l’America”, che è in realtà un compendio degli orrori Is da agosto a oggi, dalle decapitazioni degli ostaggi occidentali fino a quelle dei copti egiziani su una spiaggia libica. Nonostante le sconfitte patite sul campo, da Kobane a Tikrit, e le migliaia di morti tra le proprie file causati dai raid della coalizione internazionale e dalle offensive di terra, in particolare dei Peshmerga, l’Is non sembra tuttavia sul punto di crollare, come in tanti sperano.
Dopo l’offensiva a sorpresa su Ramadi, nella provincia di Anbar, i seguaci di Baghdadi hanno preso d’assalto la raffineria di Baiji, la più importante del Paese che era in grado di soddisfare oltre la metà del fabbisogno iracheno. I kamikaze sono entrati in azione per aprirsi un varco in un assalto su tre fronti. Gli iracheni hanno risposto al fuoco, mentre i caccia bombardavano i miliziani. I militari di Baghdad assicurano di “avere il pieno controllo dell’impianto”, mentre quelli dell’Isis dicono di aver conquistato il 50% della raffineria. Sui social network sono state pubblicate delle foto che mostrano numerosi jihadisti armati all’interno della gigantesca struttura, ma non è chiaro quando le immagini siano state scattate.
Le fonti riferiscono del “più violento attacco da mesi”, anticipato da tre tentativi, falliti, di far breccia nelle difese lealiste con attentatori suicidi. Da Baghdad si afferma che l’esercito mantiene il “pieno controllo” dell’impianto. Dal canto suo l’Is, attraverso alcuni media affiliati, sostiene che i combattimenti sono in corso e che i suoi miliziani hanno “preso il controllo del 50% dell’impianto”. Sui social network sono state pubblicate foto che mostrano numerosi jihadisti armati all’interno della gigantesca struttura, ma non è chiaro quando le immagini siano state scattate. Prima dell’offensiva jihadista l’anno scorso, la raffineria di Baiji aveva una capacità di produzione pari a oltre 300mila barili al giorno, la metà dell’intero fabbisogno iracheno. È da tempo un obiettivo primario per l’Isis, che ha nei giorni scorsi perso terreno poco più a sud, nella roccaforte di Tikrit.
Secondo fonti di intelligence tedesche, citate nei giorni scorsi dalla stampa di Berlino, lo Stato islamico ha perso negli ultimi mesi gran parte delle sue riserve di petrolio, che è una delle principali fonti della sua ricchezza. Dalla metà del 2013 all’estate del 2014, l’Is si era assicurato il controllo di ampie regioni della Siria nord-orientale e orientale, dominata dalla presenza di giacimenti di greggio, gas e ricca di risorse idriche. In Iraq invece l’Isis ha perso nei mesi scorsi il controllo del giacimento di Himrin, nella regione orientale di Diyala ma ha mantenuto la presenza nei pozzi minori della regione occidentale di al Anbar, di nuovo teatro di scontri da giorni, e in quella settentrionale di Mosul sua roccaforte. Gli esperti ritengono che se anche l’Isis dovesse conquistare la raffineria di Baiji, il gruppo non sarebbe in grado di far funzionare gli impianti. Sia in Siria che in Iraq, i jihadisti non hanno dimostrato di avere le capacità tecniche per gestire le raffinerie ma si sono limitati a contrabbandare il greggio in cambio di valuta e di prodotti derivati.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire
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