Categorie: Pax et Justitia

Is, la tragica musica del terrore

Musicassette sequestrate, cd, strumenti musicali ridotti in mille pezzi e bruciati, musicisti frustati in pubblico. Gli uomini dello Stato islamico – e prima di loro i taleban afghani – ci hanno purtroppo abituato anche a queste follie, ma loro sanno che la causa del jihad si può benissimo servire tramite la voce. Una bella voce, si intende. Lo sanno pure gli americani. Venerdì scorso, un drone Usa ha puntato su due obiettivi a Mukalla, porto orientale yemenita nelle mani di al-Qaeda.

Tra le dieci vittime, il 29nne Ghaleb Ba Qoaity, alias Abu Hajar al-Hadrami.

Il giorno successivo, è rimasto ucciso in Siria in un raid della coalizione anti-Is il 26enne saudita Maher Mishaal. 

Le due giovani vittime condividevano la stessa “professione”: prestavano la voce alla causa jihadista. Ma guai a parlare di canzoni o di cantautori. Quelli offerti al pubblico sono dei “nashid”, degli inni, eseguiti da un “munshid” (cantante) senza l’ausilio di strumenti musicali. Hadrami era chiamato il «munshid di al-Qaeda», ma godeva di gran seguito tra i simpatizzanti dell’Is, alcuni dei quali assicurano abbia giurato fedeltà al loro califfo. In verità, ha dedicato un canto ai suoi fan di Kirkuk. 

Mishaal era già un astro nascente della canzone saudita quando, nel 2013, lasciò all’improvviso il suo Paese natale per andare in Siria. Qui adotta il nome di Abu Zubair al-Qassimi al-Jazrawi – ossia l’Arabico – seguendo l’usanza di tutti i jihadisti originari dell’Arabia Saudita che intendono così sbarazzarsi dell’epiteto saudita. Lo vediamo animare «serate di canto» in Siria e a Mosul, talvolta in presenza di leader dell’Is. 

I suoi canti diventano la base musicale preferita nei video che documentano le brutali esecuzioni dei jihadisti. Inoltre, fonti inglesi parlano della recente fuga dalla Siria di tale Abdul-Majid Abdul-Bari, un cantante rap britannico di origine egiziana che si era unito al jihad. Ma i nuovi “talenti” non dovrebbero mancare all’Is, a giudicare dallo strepitoso successo di un altro “munshid” jihadista, Saad al-Meteyri, resosi famoso con un canto che deride la dinastia saudita. Oppure dalla serata organizzata a Raqqa nel lussuoso palazzo sottratto a un dignitario del regime siriano. 

Non si vedono strumenti musicali, ma non mancano le casse acustiche né i microfoni. Il pubblico è rigorosamente maschile, e in molti casi armato, ma il clima è quello che contraddistingue i concerti di casa nostra, con molti spettatori che intonano il ritornello o riprendono il “munshid” con il cellulare. 

I “nashid”, gli inni eseguiti in lingue europee sono invece destinati a un pubblico occidentale. Lo scorso febbraio la sezione francese di al-Hayat Media Center, il maggiore polo mediatico dello Stato islamico, ha diffuso il primo dei due canti oggi disponibili in francese, con sottotitoli in inglese. Il coro (che non appare nel video) esegue il “nashid” a due voci esortando i musulmani a raggiungere le terre del Califfato: «Tendi la mano per giurare fedeltà ed emigra verso la terra. Grida vendetta con tutto il cuore perché non puoi più stare zitto», recita il ritornello intonato nello stesso stile musicale dei “nashid” arabi. Sullo schermo, intanto, scorrono immagini di un uomo che prepara lo zaino e poi si dirige verso l’aeroporto per l’imbarco.

Il tabellone delle partenze indica una destinazione “truccata”, ma ben famosa: Ash-Sham, il nome usato dagli arabi per indicare la Siria. Il canto prosegue in sottofondo per lasciare spazio a poche battute di un noto jihadista francese, Abu Osama al-Faransi. «Che cosa aspettate? Perché non siete ancora partiti ? Non vi vergognate? La via è facile. Non ci sono scuse», dice per esortare i suoi connazionali musulmani a raggiungerlo nel Califfato.

Di Camille Eid per Avvenire

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