Categorie: Pax et Justitia

Isis. Un foreign fighter italiano ucciso a Kobane?

I peshmerga annunciano su twitter la morte, l’Isis la rilancia. Nessuno era a conoscenza del suo nome, gli inquirenti sono cauti

Un combattente italiano, probabilmente veneziano di nome ‘Francesco’ ma con l’appellativo di battaglia di Abu Izat Al-islam, sarebbe stato ucciso a Kobane da una donna cecchino curda. La notizia, che rimbalza sui siti di alcuni media italiani, è stata riportata anche dal tg de La7 secondo cui lo “avrebbero reso noto i curdi”. Così come riportato, nel pomeriggio, su Fb anche dal giornalista Mediaset Toni Capuozzo. La notizia al momento non trova nessun riscontro ufficiale.

Un colpo di fucile, sparato da una di quelle donnececchino che i miliziani curdi osannano sul web come le migliori tiratrici di tutto l’esercito anti-Isis. Così sarebbe stato ucciso un foreign fighter veneziano che, dopo essersi convertito all’Islam, avrebbe raggiunto la Siria per combattere al fianco delle milizie fondamentaliste. Di lui, per ora, si conosce solo il nome di battaglia, Abo’u Izat Al-Islam, e il volto. La fotografia diffusa dai «peshmerga» – i soldati delle forze armate del Kurdistan che combattono in Medio Oriente – mostra un ragazzo sorridente, con la barba e un Ak47 tra le mani. Le uniche informazioni sono quelle che da giorni rimbalzano sulle pagine dei social network gestite sia da jihadisti che da soldati fedeli al governo di Aleppo. I primi a lanciare l’annuncio dell’uccisione di Abo’u Izat sono stati proprio i «peshmerga» curdo-iracheni, dalla loro pagina ufficiale su Twitter. Un messaggio – datato 3 febbraio – per dire che una «female sniper», una delle donne-cecchino che si battono contro l’Isis, ha ucciso un miliziano italiano, indicando anche una città ben precisa: Venezia.

L’uccisione sarebbe avvenuta il giorno stesso, martedì 3 febbraio, nella zona est di Kobane, la città siriana al confine con la Turchia che da mesi è stretta d’assedio dall’esercito dei fondamentalisti, che ne ha già occupato diversi quartieri. La notizia della morte del presunto miliziano veneto è poi stata rilanciata anche dai siti gestiti dai fanatici dello Stato Islamico di Iraq e Siria, senza aggiungere altri particolari che possano consentirne il riconoscimento. Per tre settimane la notizia è rimpallata attraverso le pagine Facebook e Twitter gestite dai combattenti dell’uno e dell’altro fronte, ma solo ieri è arrivata in Occidente. Ora la fotografia di quel ragazzo che sorride imbracciando un mitragliatore è nelle mani della procura antiterrorismo di Venezia e dei carabinieri del Ros di Padova che hanno avviato delle indagini per risalire alla vera identità di Abo’u Izat Al Islam e, soprattutto, per capire se dietro al nome islamico che si è dato il combattente ucciso si nasconda davvero un foreign fighter partito da Venezia. I dubbi sono forti. E sono proprio fonti investigative a manifestare molta cautela circa la veridicità di quanto affermano i peshmerga. Per prima cosa all’intelligence italiana non risultava alcun veneziano tra le fila dell’Isis. Inoltre mancano le prove dell’uccisione del miliziano: nessuna immagine che ne mostri il cadavere. Ma soprattutto a non convincere è la fotografia: a diffondere l’immagine del ragazzo che posa imbracciando l’Ak47 sono stati i soldati curdi e non – come accade in genere – i compagni di battaglia della vittima. Come avrebbero potuto, i cecchini peshmerga, entrare in possesso di quello scatto? Una spiegazione potrebbe essere che Abo’u Izat la tenesse con sé, nella tasca della divisa o in quel borsello che porta a tracolla. Ma anche su questo non ci sono conferme e gli inquirenti si mostrano dubbiosi. Se invece l’uccisione di un italiano da parte dei tiratori curdi venisse confermata, sarebbe il terzo foreign fighter partito dal Veneto per raggiungere la Siria, il secondo a restare ucciso.

Nel novembre del 2013 due amici avevano lasciato Belluno per dirigersi in Medio Oriente: Munifer Kalamaleski e Ismar Mesinovic. Quest’ultimo si era portato dietro anche il figlioletto Ismail, di appena tre anni, di cui si sono perse le tracce. A morire in battaglia era stato proprio Mesinovic, ma in quel caso – a differenza di quanto sta accadendo per il presunto jihadista veneziano – i compagni di lotta avevano subito diffuso sui social network le foto del cadavere per rendere omaggio al suo «martirio». La partenza per la Siria dei due combattenti di origini balcaniche ma residenti da anni nel Bellunese, ha dato origine all’inchiesta del Ros che mira a smantellare la rete di fanatici che avrebbe operato in Veneto per reclutare aspiranti «soldati di Allah». Tra gli indagati anche il predicatore estremista Bilal Bosnic, arrestato a Sarajevo lo scorso settembre con l’accusa di aver contribuito a spedire nei territori dell’Isis centinaia di jihadisti.

A cura di Redazione Papaboys fonti: Avvenire e Corriere.it

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