Timidezza delle proteste nel mondo islamico
Di fronte a tanto sangue versato, alle esecuzioni di massa, alle decapitazioni, sembra esservi quasi assuefazione e fatalismo: “non si può fare niente”, “quelli sono degli scalmanati”, ecc…
In queste settimane fanno notizia anche le violenze della guerra di Gaza. Voglio far notare la differenza di comportamento fra gli ebrei verso Israele e fra i musulmani riguardo all’EI. Nelle scorse settimane, ho ricevuto una decina di petizioni inviate da ebrei americani che criticano Israele: si nota una coscienza viva ed un’abitudine culturale all’autocritica.
Educazione islamica: memorizzare, mai criticare
Nel mondo islamico non vi è questa abitudine: non c’è – o è molto rara – una critica al proprio governo e da esso si accetta qualunque cosa. Se prendiamo un Paese culturalmente medio, come l’Egitto, qualunque governo è accettato e basta; a parte alcuni elementi, come giornalisti o intellettuali, il popolo non se la sente di criticare. Manca un tipo di educazione alla critica costruttiva. Anche nella famiglia tradizionla, una messa in questione della parola dei genitori è impensabile. Da una parte, questo garantisce il rispetto, ma dall’altra viene a mancare uno spirito critico.
Lo stesso si può notare nella scuola: non c’è un’educazione alla critica in senso positivo, al dibattito, come modo per discernere.
L’educazione nel sistema islamico è basata essenzialmente sulla memorizzazione, anzitutto del Corano. Il Corano non si discute, va imparato a memoria e lo si ripete di continuo per non dimenticarlo. E’ la parola di Dio fatta libro. La formula islamica è che il Corano è “disceso” (nazala) su Muhammad, il quale l’ha trasmesso tale quale. Non c’è “ispirazione”, c’è discesa: cioè, il Corano non è del profeta Muhammad, è direttamente di Dio: il profeta sarebbe solo un registratore.
In Egitto, l’educazione islamica dei bambini nel kuttâb (la scuola islamica) si fa a forza di bastonate per spingerli a memorizzare il Corano. Ciò che vale per il Corano, si trasferisce anche nella filosofia: gli studenti universitari imparano pagine intere – magari appunti del professore – a memoria, e le recitano all’esame.
La primavera araba non è sbocciata su una realtà nuova
Anche la primavera araba, che pure era un’esperienza di critica, dopo aver fatto cadere il dittatore di turno, non ha saputo come procedere e il potere è stato preso dai gruppi più organizzati: i salafiti e i Fratelli musulmani, che hanno eliminato il partito (unico) del dittatore, per sostituirlo con un altro partito (unico) islamico.
Nel mondo arabo non esiste un vero movimento di dialogo, di contestazione e di progetto sociale. Sul problema della modernità, che assilla in profondità il mondo musulmano non si fanno dibattiti, convegni, scambi di opinione. Poi, a tu per tu, qualcuno vi dirà la sua opinione, ma non si arriva mai a un pensiero organizzato ed espresso.
Un altro esempio: in Marocco ogni anno, nel periodo del Ramadan, alcuni giovani contestatori fanno apposta a farsi cogliere dalla polizia a mangiare e bere durante le ore di digiuno. Per questo vengono messi in prigione. Questo gruppo è composto da una decina di giovani, e fa questa protesta tutti gli anni . Ma nessuno ne discute: va da sé che quello che fa il governo è giusto e va bene così.
Ciò spiega perché davanti alle lugubri esecuzioni compiute dai militanti dell’ EI, la popolazione araba rimane in silenzio. Certo, si percepisce che la gente è contraria alla violenza, ma preferisce tacere. E’ una forma di omertà religiosa!
Le dimissioni dell’intelletto
Per i giovani, che accorrono ad arruolarsi nell’Esercito islamico, è un po’ diverso: essi sono attratti dalla forza, dalla violenza, dai successi militari dei miliziani. Il fondamentalismo violento dell’EI sembra proprio una risposta forte, efficace, ricca davanti all’immobilismo delle loro società.
Nei video che l’EI usa per chiamare alle armi, si vedono perfino ragazzi di 10-14 anni addestrati in campi militari. Come mai di fronte agli orrori di cui essi stessi sono testimoni e potenziali esecutori, come mai il loro fondo umano non si ribella? Forse perché il lavaggio del cervello è avvenuto in pieno.
Questi giovani sono come drogati davanti alla religione, vista come qualcosa che non si discute, come l’unica cosa importante.
La realtà è che di fronte alla parola “religione” vi è una dimissione dell’intelletto. Hāmed Abdel Samad, quinto figlio di un imam egiziano, a 23 anni è partito per la Germania, dove vive tuttora. Il suo primo libro parla della sua “conversione” non al cristianesimo o a un’altra religione: egli dice che ha dovuto operare una conversione dall’islam all’intelligenza. Egli era come prigioniero dell’islam e nell’assenza di intelligenza e riflessione. La sua auto-definizione, che ripete spesso, è significativa: “Ich bin vom Glauben zum Wissen konvertiert” (mi sono convertito dalla fede alla conoscenza).
Religioni monoteistiche e violenza
Diverse persone accusano le religioni monoteistiche di essere fonte di violenza e d’intolleranza1. Quest’affermazione sembra vera soprattutto nel caso dell’islam; nelle altre religioni (cristianesimo e ebraismo) è molto meno evidente. Ora, il dominio del Corano e della religione islamica sull’individuo, porta alla paura di dire o fare qualcosa contro il Corano. Del resto, la condanna più severa che esiste nel mondo islamico è la blasfemia, il dire qualcosa contro Maometto o il Corano può condurre alla pena di morte. Anche Hāmed Abdel Samad, l’intellettuale egiziano emigrato in Germania, ha subito una condanna, una fatwa per blasfemia, intervenendo su alcuni media mentre era in Egitto due anni fa.
In Pakistan la blasfemia è uno dei delitti più correnti, per qualunque parola considerata come un’offensa al Corano o al profeta dell’Islam. E’ applicata anche per l’oltraggio contro i fogli del libro del Corano. L’anno scorso in Egitto, durante il regime dei Fratelli Musulmani, due ragazzini sono stati messi in prigione con l’accusa di aver urinato su fogli del Corano. Si è scoperto dopo che l’accusa era falsa.
Si cita l’esempio della Bibbia e le numerose incitazioni alla violenza che si trovano, come argomento giustificativo. Ma si dimentica che si tratta di documenti e di norme stabilite più di 3000 anni fa, e che gli Ebrei non applicano più da tanti secoli!
Il pensiero islamico è paralizzato
Tutto questo paralizza il pensiero, e perciò nessuno osa dire più qualcosa sulla personalità di Maometto, o sugli aspetti religiosi, perché se ti sbagli, rischi grosso.
Questo effetto paralizzante nasce da due elementi: uno di adorazione indiscussa per la propria religione, come stando davanti ad un tabù; l’altro di mancanza di sensibilità critica.
Un esempio: il Corano dà all’uomo il diritto di sposare fino a quattro mogli. Ma Maometto ne ha sposate un numero indefinito, che varia da 11 à 17 (o addirittura 21) a secondo che uno conti le concubine o meno. Eppure nessuno osa commentare questa discrepanza. La risposta è: Lui è il profeta e quindi è fuori dalle regole.
Il carattere sacro di Maometto - anche se considerato come un uomo ordinario, avendo ricevuto l’ultimo messaggio di Dio all’umanità – e il carattere “divino” del Corano impediscono alla stragrande maggioranza dei musulmani di applicare a loro le norme ordinarie del ragionamento. Di là la formula del sopracitato Hāmed Abdel Samad: “Ich bin vom Glauben zum Wissen konvertiert”
La concezione materiale della rivelazione coranica
Ai miei studenti ho fatto sempre notare che il Corano, come tutti i libri sacri, deve essere stato scritto da un uomo, per forza; perché non si è mai visto un libro scritto da un animale, da un angelo o da Dio stesso, anche se la Bibbia dice che le Tavole della Legge erano state scritte con il dito di Dio.
Su questo è stato impossibile ottenere un assenso dai musulmani, per i quali, Dio stesso è l’autore materiale del Corano. Anche i miei studenti cristiani dicevano che l’autore dei Vangeli è Dio, ma poi dovevano ammettere che i vangeli hanno due autori: fin dall’origine essi sono “secondo Matteo, Luca, Giovanni, ecc…”. Lo Spirito suscita, ispira, spinge, ma l’estensore è Matteo, Marco, Luca, Giovanni. E’ ciò che chiamiamo “l’ispirazione”. L’Evangelista scrive con il proprio stile, che si può linguisticamente identificare, ma il contenuto è suggerito a lui dallo Spirito di Dio. I giovani musulmani rimanevano incuriositi da questa impostazione, mostrando un interesse particolare. Ma quando domandavo loro una conclusione sul Corano, la loro riposta era: Per Maometto è tutto diverso. L’angelo Gabriele è sceso e ha messo nel petto di Maometto tutto il Corano. Maometto l’ha poi recitato pezzo per pezzo, secondo l’ordine di Dio. Egli non è che un portavoce materiale.
L’applicazione della shari’a
Un altro esempio di paralisi: una volta un professore musulmano ha fatto una domanda a questi allievi: “Siete d’accordo che a chi ruba vada tagliata una mano, e se ruba un’altra volta si deve tagliare la mano e il piede in senso opposto?” La risposta è stata: “E’ quello che dice il Corano”. L’insegnante ha incalzato: “Ma voi siete d’accordo?” Risposta: “E’ il Corano, e non si può cambiare”.
Il professore li ha poi presi uno ad uno e ha domandato: “Ma se tu fossi giudice, ordineresti il taglio della mano per un ladro, magari un ragazzo giovane, che ha sbagliato?” Risposta: “Così è la Legge (shari’a)”. Non osavano dire sì o no, si rifugiavano nella legge. Allora ha chiesto al più dotato di loro: “Tu, faresti questo?”. Ma lo studente ha perfino evitato di rispondere dicendo: “Io non sono giudice, e non è la mia funzione!”.
Quando si entra nel dominio della religione, c’è una paralisi del pensiero, dell’intelletto. Come se la religione non appartenesse alla sfera dell’umano, ma dovesse essere giudicata con altri criteri. E questo è trasmesso da secoli. Certo, in passato e ancora oggi, abbiamo dei rivoluzionari religiosi, ma sono emarginati dai giornali, dalle assemblee e dalla mentalità comune in nome del conformismo.
Le Dichiarazioni islamiche dei Diritti Umani
La paralisi è visibile anche a livello mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Onu ha stilato, nel dicembre 1948, la “Dichiarazione universale per i diritti umani”, che elenca delle norme per garantire un rispetto comune verso i popoli, verso gli uomini e le donne; ma il mondo musulmano non le accetta.
Anche persone coltissime le rifiutano, bollandole come “diritti dei cristiani”, di stampo occidentale. Per questo essi hanno stilato per conto loro tre redazioni diverse: la “dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo” (Parigi, 19 settembre 1981), la “dichiarazione dei diritti dell’uomo nel’ Islam” (Dacca, dicembre 1983) e la “dichiarazione universale dei diritti dell’uomo islamico” (Cairo, 5 agosto 1990). Sono tutte basate sulla shari’a islamica. E’ da notare però che, nelle traduzioni occidentali, non si parla di “shari’a” ma di “legge”, generalmente nella formula “purché sia conforme alla legge”, il che inganna il lettore non avvertito!
Queste stesure richiamano i principi della Dichiarazione universale, ma poi sottomettono il diritto preso in esame alla sharia. In tal modo si elimina l’uguaglianza fra uomo e donna, fra musulmano e non musulmano, ecc.
La violenza dell’Esercito islamico oltre il Corano e Maometto
L’assolutezza del sacro esaminata sopra è presente nei militanti dell’EI. Essi non si preoccupano dei diritti umani, dei palestinesi, della povertà, ecc… L’unica cosa che vogliono è instaurare uno Stato che sarebbe “islamico”, capeggiato da un califfo, cioè da un “successore” di Maometto, il cui modello è Maometto e ciò che egli ha immesso nel Corano. Tale assolutezza lascia loro mano libera a compiere quello che vogliono.
Va detto però che l’EI va oltre il Corano e Maometto. A Mosul, Qaraqosh e in Siria essi hanno cacciato via i cristiani e hanno imposto loro la conversione all’Islam o la morte, se volevano rimanere.
Maometto non ha fatto questo per cristiani ed ebrei, ma per i pagani. Questi ultimi potevano scegliere fra la conversione all’Islam o la fuga. Cristiani ed ebrei invece potevano vivere affianco ai musulmani, pagando però una doppia tassa: una sulla terra (il kharâj) e l’altra in quanto “protetti” (la gizya). Invece l’EI ha perfino strappato i segni cristiani dagli edifici, andando oltre i dettami del Corano, e ha marcato ogni casa cristiana della lettera Nūn , prima lettera della parola Nasara (= Nazareni), usata nel Corano per designare i Cristiani.
La loro violenza (decapitazioni, crocifissioni, esecuzioni di massa, rapine, estorsioni, sequestri) non ha niente a che fare con l’Islam. Nella tradizione islamica non vi sono questi stili sanguinari. Al più, in passato si giustiziava con la lapidazione, che è praticata ancora adesso per alcuni casi (adulterio). O si tagliava la testa del colpevole. Ma anche qui c’era una specie di clemenza. Il Corano chiede ad esempio che perfino gli animali che vanno sacrificati per l’Eid-al-Khebir (la Grande Festa) siano trattati con cura e uccisi in un sol colpo per non farli soffrire troppo.
Questi dell’EI uccidono e sgozzano esseri umani utilizzando coltelli e tagliando le gole pezzo per pezzo, con una lentezza bestiale e crudele. E’ vero che Maometto ha usato – come tutti i popoli dell’epoca – una certa violenza: attacchi alle carovane, ai nemici, ecc… Ma Maometto non ha usato crudeltà, se non in pochi casi isolati. E ha dato anche esempi d’indulgenza.
Riprodurre il modo di vita e di pensiero degli antenati
Un errore fondamentale dell’EI è di prendere modi di vita dei primi secoli dell’Islam per ripresentarli tali e quali nel mondo moderno. Anche per noi cristiani è importante la Tradizione, ma ne rimaniamo anche distaccati: le cose che leggiamo in san Paolo sul silenzio delle donne nell’assemblea, o sul capo velato, non le prendiamo alla lettera perché comprendiamo che quelle indicazioni erano normali per il suo tempo. Magari ne facciamo fonte d’ispirazione, ma non le applichiamo alla lettera.
Poi, davanti a un cristiano che rigetta il cristianesimo, esprimiamo magari dolore, ma lui è libero di andarsene o di cambiare religione. Per i musulmani, l’apostata va giudicato e magari ucciso.
L’altro errore, inaccettabile, è l’uso della violenza per la violenza, usando la crudeltà come mezzo per terrorizzare il nemico. Ma questo è condannabile anche da parte dell’islam.
Inoltre, riprodurre materialmente il comportamento in uso nel settimo secolo non corrisponde allo spirito dell’Islam. La buona tradizione islamica vuole che, nell’applicazione della sharia, si debba sempre esaminare le maqāssed (gli scopi) della sharia, relativizzando i metodi. Invece, l’EI prende alla lettera la sharia, e usa la violenza per la violenza. Questo modo di fare non è islamico: è una barbarie.
La distinzione tra etica e politica
C’è però un problema: nell’islam è prevista la violenza per combattere i “nemici di Dio”. Tale precetto forse poteva essere comprensibile ai tempi di Maometto in cui la causa di Dio era riconducibile con facilità alla difesa del territorio della comunità islamica. Ma oggi…
Tutto questo rende ambiguo l’insegnamento islamico. Il problema diviene più pesante se si pensa che per l’esercizio di tale violenza religiosa si delega lo Stato5. Vi è quindi un corto circuito fra la morale e lo Stato, che genera l’ambiguità in cui viviamo oggi: tutti i Paesi islamici hanno come norma – chi più, chi meno – la sharia. Ma la sharia è un sistema etico o una legge di Stato? Proprio questa confusione (tra l’etico e il politico o il giuridico) genera violenza.
Facciamo un esempio: l’omosessualità. Nella maggioranza delle culture essa è vista come una cosa negativa. Ma un conto è dire: questa è una cosa negativa dal punto di vista morale; un conto è dire che l’omossessuale deve essere condannato dallo Stato, ucciso o messo in prigione.
Dire: chi ruba va punito, è giusto, perché è un danno alla giustizia sociale, ma punire chi solo critica un’altra persona è incomprensibile. Un adultero fa male a se stesso, alla coppia, al partner. Ma non posso dire: allora va ucciso. Queste esempi mostrano che vi è confusione tra il piano morale e il piano politico, e ciò avalla la scelta della violenza.
Da questo punto di vista, il Vangelo è un passo avanti nella civiltà: in esso Gesù non parla mai di un castigo umano, giustificando religiosamente una legge socio-politica.
Invece con l’islam tutto è bloccato perché per i musulmani la loro religione è la perfezione assoluta.
Conclusione : è necessario ripensare l’Islam
In questi giorni, a causa delle violenze efferate dell’EI, vi sono state diverse condanne da parte di personalità e istituzioni musulmane. Lo ha fatto l’Arabia saudita, la Tunisia, la Turchia, ecc… Ma questo, cosa cambia? La condanna dell’Arabia saudita non giunge fino alla questione fondamentale: una religione non dovrebbe promuovere la violenza. Invece, proprio l’Arabia saudita fa ricorso alla violenza giustificata dalla religione, in particolare nell’applicazione dei castighi previsti dalla shari’a.
Il punto è che ogni religione deve essere ripensata per il tempo attuale. Ma questo si può fare domandandosi sul “motivo” della legge, salvando tale motivo e cambiando i modi superati. In un certo senso, questa dialettica fra motivo e legge è simile a quella paolina di lettera e spirito: «La lettera uccide, lo Spirito vivifica» (2 Corinzi 3,6).
Per fare questo passo è necessario un dialogo fra intellettuali di varie religioni, che attui questa differenza fra legge e spirito, pratica e ideali. E bisognerebbe poi che i media ne diffondano i risultati. Ma nessun Paese islamico osa proporre una cosa simile.
Un altro passo urgente è togliere dalle costituzioni arabe il rimando alla sharia come base della legge. Addirittura in Arabia saudita non esiste una costituzione: la loro costituzione è la sharia. E ciò è ambiguo: la sharia non è un testo preciso, stabilito come i dieci comandamenti. Essa si è sviluppata cercando di trarre dal Corano le risposte giuridiche alle esigenze quotidiane. Perciò ogni epoca ha adattato la sharia al suo tempo. Intorno al X° secolo tale sviluppo si è fermato e ora si tenta di interpretarla. E siccome si ha paura di ripensarla, si cerca di usarla nel modo più letterale. Ancora una volta ci troviamo davanti a una posizione ferma, immobile, esclusivista.
Questa immobilità porta a manipolazioni e ingiustizie. Ad esempio: dove nel Corano si trova la scomunica fra sunniti e sciiti? Eppure i due gruppi – le cui differenze teologiche sono minime – la praticano con decisione, escludendosi e uccidendosi gli uni gli altri. Fa pensare alle guerre di religione fra cattolici e protestanti dei secoli passati, ma ora la situazione è molto più drammatica.
Il radicalismo, la violenza, l’esclusivismo presenti nel Corano non giustificano la crudeltà dell’EI, ma sono un buon humus in cui cresce la violenza.
E’ tempo di ripensare l’Islam per l’uomo moderno, di distinguere tra Stato e Religione, tra etica e politica, fra lettera e spirito. L’Islam è capace di farlo, come l’hanno fatto altri gruppi sociali o religiosi, ma deve riesaminare totalmente e profondamente tutto il sistema educativo, e in particolare la formazione degli imam.
A cura di Redazione Papaboys
articolo originale di Samir Khalil Samir per AsiaNews
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