I membri della comunità israelo-cristiana di lingua araba sono nettamente divisi sulla propria identità. Alcuni si considerano arabi palestinesi, e in uno stato libero e democratico questa scelta deve essere rispettata. Ma molti altri, che finora erano stati messi a tacere costretti a vivere quasi da clandestini, non si considerano affatto palestinesi e talvolta nemmeno arabi. Si considerano piuttosto cristiani israeliani. Alcuni, in questo gruppo, hanno riscoperto le proprie radici nell’antica Terra d’Israele e nella cultura greca e aramaica. Posizioni come queste si sono formate sulla base della consapevolezza che lo stato di Israele non è un fenomeno passeggero, e certamente non è un fenomeno negativo. Considerando la violenza del fanatismo religioso e settario che imperversa nei paesi vicini, molti cristiani israeliani sono giunti alla conclusione che solo un Israele forte può garantire a loro e ai loro figli la libertà personale e religiosa, la prosperità e il benessere, nonché la protezione contro la terribile sorte che tocca alle minoranze nei paesi vicini. Capiscono che il loro futuro è in Israele, e così cercano di integrarsi appieno e di contribuire il più possibile.
Il desiderio di entrare nelle Forze di Difesa non deve sorprendere. Dal momento che l’esercito rappresenta una delle più importanti esperienze formative per la maggior parte dei giovani del paese, prestare servizio militare (o civile) è un passo necessario per la completa integrazione nella società. Non è una decisione legalistica, ma il riflesso di una realtà socio-culturale. E’ la ragione per cui migliaia di giovani israeliani con disabilità di vario tipo, che li esentano dal servizio militare, insistono per arruolarsi volontari. E’ la ragione per cui sempre più giovani ragazze religiose che potrebbero farsi esonerare dal servizio di leva insistono per entrare nell’esercito. E’ la ragione per cui molti immigrati vogliono essere richiamati: si rendono conto che solo il servizio militare li renderà israeliani sotto ogni aspetto. E’ la ragione per cui alcuni giovani demotivati o emarginati insistono a voler prestare servizio, consapevoli che il servizio militare è la chiave per una vita regolare in Israele. Ed è anche il motivo per cui dei giovani cristiani vogliono entrare nell’esercito: si rendono conto che non farlo significa estraneità. Negli ultimi mesi un certo numero di politici si è schierato con i cristiani che sostengono l’arruolamento nelle Forze di Difesa israeliane, e con il leader spirituale del gruppo, padre Gabriel Nadaf, e l’organizzazione da lui fondata, il Forum per l’Arruolamento dei cristiani israeliani. Ma adesione e sostegno morale non sono sufficienti. Lo stato deve dare una mano. Ad esempio, è inspiegabile che le Forze di Difesa israeliane non abbiano ancora cappellani militari per le esigenze dei soldati cristiani mentre nominano quadi militari islamici per i soldati musulmani. Inoltre, la pubblica amministrazione dovrebbe adottare misure di affirmative action (promozione per quote) per la nomina in posizioni adatte dei cristiani israeliani che hanno prestato servizio nelle Forze di Difesa o nel servizio civile nazionale. La scelta di molti israeliani cristiani di partecipare fino in fondo alla vita dello stato e di arruolarsi nelle Forze di Difesa ha del miracoloso. Questi pionieri possono diventare parte di una rivoluzione che renda l’intera comunità non-ebraica parte integrante della società israeliana. Ma i leader del paese devono prendere misure immediate per aiutarli. E’ una cosa importante per tutti noi, e soprattutto è la cosa giusta da fare. a cura di Francis Marrash*
* La fonte è tratta da: israele.net
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