Le scuole cristiane sono tra le migliori in Israele, secondo un rapporto pubblicato pochi giorni fa dal Ministero dell’Istruzione israeliano, ma rischiano il collasso finanziario a seguito dei tagli economici operati proprio dallo stesso Ministero. Le scuole cristiane, 47 in tutto il Paese, gestite da cattolici, ortodossi, anglicani, dalla Chiesa di Scozia, dalla Chiesa di Cristo e dalle Chiese battiste, contano ben 33mila studenti tra cristiani, musulmani, drusi ed ebrei. Nonostante questo, il Governo negli ultimi anni ha continuato a ridurre il bilancio, cercando anche di imporre di aderire al sistema educativo delle scuole pubbliche, con il concreto rischio per le scuole cristiane di perdere la propria identità.
Salvatore Tropea per la Radio Vaticana ha raggiunto telefonicamente a Gerusalemme padre Abdel Masih Fahim, segretario generale dell’Ufficio delle scuole cristiane, presso l’Assemblea dei vescovi di Terra Santa.
R. – Questo finanziamento, dato dal governo,deve essere un diritto degli studenti. Non si tratta di una donazione o di un’elemosina, ma di un diritto secondo quanto stabilito dalla legge israeliana. Il finanziamento, nel rispetto dell’autonomia delle nostre scuole, deve essere pari almeno all’75% di quello che viene destinato alle scuole ufficiali (pubbliche). Alcuni anni fa hanno incominciato a ridurre il finanziamento destinato alle nostre scuole. Noi non sappiamo precisamente quale sia la ragione di questa diminuzione, ma quello che sappiamo è che le nostre scuole sono state trattate male anno dopo anno. L’anno scorso abbiamo iniziato uno sciopero per mostrare che noi non accettiamo questa riduzione, e soprattutto la mancata volontà del governo di negoziare con noi. Siamo poi arrivati a un accordo: il primo punto di quest’ultimo stabilisce che il governo deve pagare alle nostre scuole 50 milioni di shekel. Tuttavia, finora il governo non ci ha dato niente. Non siamo arrivati quindi a una soluzione. Questa è una politica voluta dal governo; se non c’è una pressione da parte delle autorità e dei mass media, non si arriva a niente.
D. – Il ministero ha anche invitato le scuole cristiane ad aderire al sistema educativo di quelle pubbliche israeliane: una proposta però respinta, perché può rappresentare una minaccia per la loro identità…
R. – Sì, perché il direttore lo vogliono sceglierlo loro. Noi vogliamo uno spirito cristiano: questo è lo spirito dell’istituto stesso. Ma per fare o meno attività cristiana, dobbiamo ricevere il permesso dal municipio; e questo rappresenta una confisca delle nostre scuole, anche se in altro modo. Adesso ho proposto di stipulare un accordo tra il ministero e le nostre scuole, che rispetti tutte le istruzioni del governo e del ministero, in cambio di una salvaguardia da parte di quest’ultimo della nostra identità e autonomia. Per ora i negoziati continuano.
D. – Come possono le scuole cristiane far fronte a questa emergenza, magari con dei fondi privati, per non perdere la loro eccellenza e garantire le strutture?
R. – Adesso, attraverso il ricorso a dei fondi privati, alcuni istituti hanno preso dei prestiti, e quindi – grazie a Dio – tutte le scuole hanno cominciato bene. Ma dobbiamo continuare: non dobbiamo smettere di negoziare e dobbiamo anzi portare avanti i negoziati fino alla fine per il bene dei nostri ragazzi e delle nostre scuole.