Erano proprio gli stessi giorni, a cavallo tra giugno e luglio, il clima quello sì, era differente, il forno del Sarrià alle 17.15 così diverso dal fresco di Parigi, dalla brezza di Bordeaux. Spagna ’82, come fai a non pensarci nel momento in cui un’altra Italia sta ribaltando un destino già scritto per tanti, il pessimismo in entusiasmo, sta trasformando un Europeo apparentemente qualunque in una inattesa, splendida fiera dei sogni.
Ancora più che con il Mondiale 2006 – con cui condivide tre grandi protagonisti quali Buffon, De Rossi e Barzagli – questa Italia a sorpresa ricorda da vicino quella della fantastica cavalcata di 34 anni fa.
Lo stanno ammettendo quei campioni, lo ha detto soprattutto Lele Oriali, marcatore di Cerezo o di Stielike ieri, di Antonio Conte oggigiorno, tenuto a fatica a bada come team manager. “Ho chiamato mia moglie e le ho detto di prenotare la vacanza, esattamente come feci allora, prima del Brasile”, ha raccontato agli inviati presenti a Montpellier estraendo dai ricordi un aneddoto non casuale.
Perché Argentina e Brasile 1982 stanno esattamente a Spagna e Germania 2016, ottavi e quarti oggi, gironcino all’italiana all’epoca (figlio di una formula molto più giusta e intelligente per un torneo a 24 squadre), ma il concetto è il medesimo, quello degli ostacoli più alti, considerati insuperabili per le nostre forze, le nostre possibilità.
Ostacoli da superare, vincere o andarsene, nessun’altra via di uscita: il primo è stato spazzato via con merito, senza discussioni, come lo fu l’Argentina di Maradona. Battuto con merito grazie a una continua evoluzione di una scuola – la nostra – che trova, sissignori, un degno continuatore e condottiero in Antonio Conte, che sta costruendo il suo miracolo sulle stesse fondamenta di Enzo Bearzot: la difesa, il gruppo, la disciplina e la duttilità tattica.
Tutti a elogiare – e ci mancherebbe altro – il 3-5-2 di Conte: fate il gioco dei numeretti applicandolo anche al calcio vintage e vi accorgerete che lo era anche quello di Bearzot, con il perno difensivo anche primo – architetto del gioco (Scirea, come oggi Bonucci), un esterno più difensivo (Cabrini) e uno di caratteristiche più offensive (Conti), due interni da corsa vicino a un regista che, all’epoca, era certamente più numero 10 di Thiago Motta che rispondeva al nome di Giancarlo Antognoni. Indubbiamente il tasso qualitativo individuale di quella Nazionale era notevolmente più alto – si pensi solo a Bruno Conti – ma i loro eredi sopperiscono (al netto di un livellamento verso il basso rispetto a quattro decenni fa) con la garra, la forza fisica, la preparazione della partita che non è nemmeno lontanamente nel patrimonio degli altri c.t., delle altre favorite vere e presunte dell’Europeo.
Contro Belgio e Spagna, la sensazione tangibile che a ogni secondo, in ogni situazione, in ogni centimetro di campo, gli azzurri sapessero cosa fare, soprattutto cosa avrebbero fatto i loro avversari.
Un copione che verrà sicuramente rispettato anche con la Germania. La Germania, sì, i campioni del mondo in carica, la squadra che solo tre mesi fa ci distrusse in amichevole a Monaco di Baviera. La Germania perfetta, giovane, la Germania che può essere davvero paragonata al Brasile ’82, considerato unanimemte come il non plus ultra delle rappresentative nazionali sgambettanti in questo momento sul pianeta. Farcela vorrebbe dire farcela in assoluto, inteso come trionfo finale all’Europeo, non è pronostico che nasca solo dall’amore patrio: dalla testimonianza di tanti azzurri di Barcellona – smaltita rapidamente l’eco della grande vittoria – riemergono la convinzione assoluta e incrollabile nei propri mezzi, la certezza maturata dallo spogliatoio che quell’Italia, schiantate le due grandi sudamericane, avrebbe battuto anche Saturno e i suoi anelli, l’Ajax di Cruijff, chiunque.
Per questo, il match con la Germania si ammanta della stessa aura di quel 5 luglio 1982: un solo risultato a disposizione, e almeno stavolta si potrebbe appoggiare almeno a supplementari o rigori, Bearzot non poté contare su di essi. Se esce sulla ruota di Bordeaux, ci si prepari a rimanere in strada fino all’alba di lunedì 11 luglio. E anche qui, ma guarda che giorno è, che combinazione, che retrogusto di quello splendido e mai dimenticato sapore spagnolo.
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it)
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