Se l’oro blu valesse come quello nero, l’Italia sarebbe uno dei Paesi più ricchi del mondo. L’acqua, infatti, non le manca di certo, così come una consolidata tradizione in fatto di acquedotti, pozzi e rete fognaria. Ma accanto a prezzi tra i più bassi del mondo (40 centesimi al giorno a famiglia), i problemi non mancano: sprechi su tutta la rete che sfiorano il 30%, grave ritardo sulla depurazione già sanzionato dal’Ue e un 15% della popolazione che non è ancora allacciato alla rete fognaria. E se in tutto il mondo si beve l’acqua del rubinetto, spesso pessima, lasciando a quella minerale il ruolo di “bibita”, in Italia, invece, l’acqua del rubinetto quasi non viene considerata come potabile, trasformando il nostro Paese nel consumatore (e produttore) numero uno di acqua minerale in bottiglia. Paradossi e problemi che vanno risolti e porteranno investimenti forti che, inevitabilmente, faranno lievitare la bolletta nei prossimi anni. Ma la promessa dei gestori, rimasti pubblici dopo un discusso referendum, è una sola: meno sprechi, più servizi.
Il Gruppo CAP serve 252 Comuni lombardi, con oltre 2 milioni di persone raggiunte dall’acquedotto e un capitale sociale di oltre mezzo miliardo di euro. Un gigante che ha tre obiettivi ben precisi: migliorare il servizio, ridurre al minimo gli sprechi e intervenire con l’esperienza acquisita anche sulle criticità idrogeologiche, come spiega a Tgcom 24 il presidente Alessandro Russo.
Perché in Italia l’acqua costa così poco? Ne abbiamo “troppa” o non le è mai stato attribuito davvero un valore?
In Italia abbiamo mediamente le tariffe del servizio idrico più basse d’Europa, anche se esistono notevoli variabili da un territorio ad un altro. In media una famiglia di tre persone spende 307 euro all’anno, circa 25 euro al mese, meno di un caffè al giorno. Se confrontate con la spesa media francese, 700 euro, o con quella tedesca e inglese, 770, queste tariffe sono decisamente basse. Ma la cosa che pochi sanno è che una parte di questi costi è destinata agli investimenti per l’ammodernamento del settore idrico e per la depurazione, per i quali noi, rispetto ad altri Paesi, spendiamo decisamente meno. Qui in Lombardia siamo fortunati, partiamo da condizioni favorevoli, l’acqua è abbondante e buona, ma ci troviamo anche di fronte ad un paradosso: meno costa, meno gli si attribuisce valore e più si spreca. Si deve cambiare punto di vista. E’ una questione di cultura dell’acqua. Ad esempio il Gruppo CAP ha programmato un piano di investimenti di 520 milioni in 7 anni, che oltre a migliorare il servizio offerto, si sta traducendo in migliaia di posti di lavoro creati.
Il prezzo dell’acqua è destinato a salire o resterà sempre uno dei più bassi al mondo?
Il costo dell’acqua, se intendiamo quello che tutti noi vediamo in bolletta, comprende in realtà anche il costo per la depurazione degli scarichi fognari. Per avere acqua potabile in casa, una famiglia italiana spende circa 40 centesimi al giorno, una cifra veramente irrisoria, ma fare crescere e migliorare il sistema idrico significa fare grandi investimenti. E’ la necessità e anche l’urgenza di questi interventi che incide sul costo della bolletta. Ma nessun allarmismo, le tariffe italiane, che non sono decise dai singoli gestori ma dall’Authority, resteranno tra le più basse d’Europa. Si tratta solo di fare uno sforzo per migliorare le infrastrutture e l’ambiente.
L’Italia ha un’ottima acqua del rubinetto ma i suoi abitanti sono i maggiori consumatori al mondo di acqua minerale: perché?
Partiamo con un dato. L’acqua del rubinetto è buona ed è sicura. La nostra azienda, ad esempio, analizza ogni anno oltre 22 mila campioni per determinare oltre 600 mila parametri chimici e microbiologici. L’acqua è certificata e ad ogni utente riceve un’etichetta dell’acqua come quella che si trova sulle bottiglie in commercio. Poi certo esiste un pregiudizio frutto di un fattore culturale, di abitudine e anche di disponibilità. L’Italia non solo è il maggior consumatore di acqua minerale, ma anche il maggior produttore. E spesso la scelta è anche una questione di gusto. Nessuna competizione con le tante aziende che commerciano acqua in bottiglia, ma il messaggio che deve passare è che l’acqua del rubinetto in Italia è buona e controllata.
In Italia ha vinto l’acqua pubblica: quali sarebbero state le conseguenze di una gestione privata e quali invece i vantaggi del pubblico?
Il Referendum è stato importante per ridare ai cittadini la possibilità di scegliere a chi affidare la gestione del servizio idrico e del patrimonio di reti e impianti presenti nel nostro territorio, frutto del lavoro e dell’impegno dei Comuni. Sono state abrogate le norme che obbligano a privatizzare i servizi idrici. Per noi ciò ha significato uno stimolo a impegnarci ancora di più per rispondere alle esigenze e aspettative dei nostri soci, i cittadini dell’area metropolitana milanese. E poi, in fondo, se dovessi fare una battuta, un’azienda pubblica come la nostra che non distribuisce utili ad azionisti privati per ripagare il capitale conferito, è decisamente più credibile nel chiedere ai cittadini di risparmiare l’acqua e di avere consumi sostenibili per l’ambiente.
L’Italia è una delle nazioni dove si spreca più acqua “durante il tragitto”: come fare a ottimizzare il trasporto e a sprecarne di meno? Quanto costa ammodernare la rete?
Qui torniamo alla questione degli investimenti e delle tariffe. Si calcola che in Italia servirebbero 65 miliardi di euro per riportare il livello delle infrastrutture idriche in linea con gli standard europei. Facciamo due calcoli: nel nostro Paese, cito dati forniti dal Censis, le perdite di rete mediamente sono pari al 31,9%, in Inghilterra al 15,5% e in Germania al 6,5%. Di contro in Germania si investe in questo campo l’equivalente di 80 euro per abitante all’anno e in Inghilterra 100, mentre noi ne investiamo solamente 30. È chiaro che le perdite di rete diminuiscono con l’aumentare degli investimenti. Per quanto ci riguarda, nel 2012, ci siamo posti un obiettivo: la riduzione del 5% delle perdite in 3 anni. Nel 2014 siamo arrivati ad una dispersione pari al 19,1%, ben sotto la media italiana che supera il 37%.
L’Italia è sotto procedura Ue per la depurazione: perché siamo così indietro? E’ normale che il 15% della popolazione non sia attaccata a una rete fognaria?
No, purtroppo non è normale. Le indagini effettuate in questi ultimi anni fotografano una situazione molto diversificata nel nostro Paese. In particolare c’è una grandissima differenza tra nord e sud Italia. Secondo dati forniti da Federutility, due italiani su dieci sono senza fogne, tre su dieci senza depuratori. Il 40% dei nostri fiumi sono gravemente inquinati, circa nove milioni di italiani, al Sud in particolare, hanno seri problemi di approvvigionamento idrico. La depurazione, forse perché meno visibile, è stata trascurata nel corso degli anni, con gravi conseguenze sull’inquinamento di mari e fiumi e in generale con ripercussioni pesanti sull’industria del turismo. È ora di cambiare rotta e devo dire che qualcosa negli ultimi anni si sta muovendo, forse anche sotto la spinte delle due procedure di infrazione europee.
Vista la produzione, il costo e il fatto che stia diventando “l’oro blu”, l’Italia esporta o potrebbe esportare acqua magari a paesi meno fortunati?
Ciò che bisogna esportare sono le conoscenze: la capacità di realizzare le infrastrutture e di gestirle. Negli ultimi anni ci siamo impegnati in diversi progetti di cooperazione internazionale. Le faccio l’esempio più recente: nel 2014 abbiamo portato a temine un intervento in partenariato con l’Agenzia dell’Onu (UNDP) che si occupa di programmi di sviluppo, la Regione Lombardia e l’Unione delle Province Lombarde. Il risultato è stato quello di riuscire a fornire acqua potabile a circa 12 mila abitanti di otto villaggi rurali nel Senegal. Solo approcci di questo tipo consentono di veramente di raggiungere obiettivi duraturi e di fare la differenza.
Cosa possono fare i gestori per aiutare al controllo del dissesto idrogeologico?
Quello del dissesto idrogeologico è un tema molto sentito in Italia. Penso che miglioramenti potrebbero arrivare da una più chiara definizione delle competenze per la gestione delle acque meteoriche, cioè l’acqua piovana che non viene assorbita dal terreno ma che scorre sulle superfici. L’assegnazione di queste competenze a noi gestori del servizio idrico, con il riconoscimento in tariffa dei costi necessari, permetterebbe di affrontare il tema in maniera organica. Aziende come CAP hanno al loro interno know how e competenze che possono contribuire non poco alla lotta contro il dissesto. Noi ad esempio abbiamo aumentato la pulizia delle caditoie, per intenderci dei i tombini presenti sulle strade, che funzionano da drenaggio urbano, ma non basta. Serve un approccio interdisciplinare, ad esempio integrando le reti esistenti con vasche per l’accumulo delle prime piogge e prevendendo in futuro misure che limitino l’impermeabilità dei suoli.
Fonte. TGcom24
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