R. – Come molti di questi gruppi jihadisti che esistono non soltanto in Iraq e in Siria, ma anche nella fascia del Sahel e in Nord Africa, in Nigeria, in Somalia, le fonti di finanziamento sono di vario tipo. Da un lato, vi sono sicuramente delle donazioni: soldi che vengono trasferiti da donatori privati, quindi persone, a volte anche facoltose e ricche, che decidono di stanziare veri e propri finanziamenti per questo gruppo. E’ un po’ più controverso, invece, quanto si possa dire con certezza che l’Is, come alcuni sostengono, riceva fondi direttamente da attori statali. Si è parlato molto di un sospetto coinvolgimento diretto del Qatar, in parte – in passato – dell’Arabia Saudita, della Turchia: però non vi sono assolutamente prove. Dall’altro lato, come appunto accade per molti gruppi, vi sono quelle fonti di finanziamento che l’Is può trovare in loco, sfruttando il controllo del territorio in cui si trova. Per esempio, sappiamo che il gruppo jihadista di al Baghdadi ha messo in piedi una sorta di sistema di racket – che per alcuni è stato paragonato ad una specie di sistema mafioso – a Mosul e nelle aree circostanti che secondo alcune stime può arrivare a fare entrare nelle casse del movimento fino a 8 milioni di dollari al mese. Sappiamo inoltre che l’Is controlla ormai di fatto una buona parte della produzione petrolifera, soprattutto della Siria, e che probabilmente vende sul mercato nero a prezzi ovviamente molto inferiori a quelli di mercato anche il petrolio e questo potrebbe fruttare – sempre secondo alcune stime – almeno da un milione a un milione e mezzo di dollari al giorno. Poi ci sono tutte quelle attività di traffici illeciti: non solo traffico di droga, che in quell’area in realtà non è così sviluppato, ma per esempio si è parlato molto del traffico di reperti archeologici, che fruttano centinaia di migliaia di dollari al movimento. C’è anche la cosiddetta “industria” dei sequestri di persona: l’Is, come sappiamo tristemente dal caso del giornalista americano James Foley, opera sequestri di persona non soltanto per propaganda, ma anche per ottenere riscatti e rimpinguare ancora notevolmente le casse del movimento.
D. – Come avvengono i trasferimenti di denaro? Si è ipotizzato, tra l’altro, che si starebbe usando il metodo “hawala”…
R. – E’ probabile. Ma possiamo soltanto fare delle ipotesi: non abbiamo elementi che possano aiutarci a tracciare esattamente le modalità.
D. – Cos’è il metodo “hawala”?
R. – L’“hawala” è un metodo di trasferimento di denaro informale; non comporta il trasferimento fisico di denaro. Prevede che la persona che voglia donare una quantità di denaro a un’altra persona in un altro Paese, si accordi e quindi consegni questa somma di denaro a una specie di intermediario, potremmo definirlo un ‘broker’, che si trova nel posto in cui è la persona. Questo ‘broker’ si mette in contatto con un altro ‘broker’ che si trova nel luogo in cui il denaro dovrebbe arrivare. Non avviene, dunque un trasferimento fisico di denaro, ma i due ‘broker’ si scambiano una specie di codice di trasferimento. Tale codice viene dato anche alla persona a cui dovrebbe arrivare il denaro. Quando, dall’altra parte, l’altro broker e la persona che deve ricevere il denaro si incontrano e il codice di trasferimento risulta lo stesso, avviene materialmente il trasferimento di denaro. Il secondo ‘broker’ ha quindi una disponibilità di liquidità tale per cui può egli stesso garantire e fornire i soldi. Come si rifarà il ‘broker’ di destinazione? Si rifarà nella transazione successiva.
D. – Perché l’Is, come pare i pirati somali o i talebani, starebbe usando questi canali?
R. – Si tratta di ipotesi. In passato, comunque, è stato un metodo di trasferimento di denaro usato da gruppi terroristici e non solo: infatti, viene utilizzato spesso anche dai lavoratori emigrati all’estero per mandare a casa le proprie rimesse. Tra l’altro, sicuramente si può ipotizzare pure che il denaro venga poi anche trasferito materialmente tramite dei corrieri.
Fonte: Radio Vaticana
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