Categorie: Pax et Justitia

Kenya – Messa a Garissa per ricordare la strage degli studenti

Questa mattina, la Diocesi di Garissa, nel Nord-Est del Kenya, ha ricordato con una Messa nella Domenica della Divina Misericordia la strage compiuta dai terroristi di al-Shabaab il 2 aprile di un anno fa: 148 persone, quasi tutti studenti cristiani, vennero uccisi nel campus universitario dagli estremisti islamici. Nell’omelia, il vescovo di Garissa, Joseph Alessandro, ha invitato a pregare per le vittime, per i familiari e per la conversione degli assassini. Grande la partecipazione all’evento.

Ma per conoscere quale sia la situazione oggi a Garissa, Lucas Duran ha raggiunto telefonicamente Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia, organizzazione che dal 1957 è presente in Kenya e che intervenne fin dal primo momento per portare soccorso alle vittime:
R. – C’è molta frustrazione, perché gli attacchi dell’anno scorso – oltre al terribile massacro degli studenti al numero di feriti – ha provocato degli effetti sul territorio molto importanti, perché prima dell’attacco l’85 per cento del personale sanitario veniva da altre parti del Paese, così come la metà degli insegnanti: poiché i terroristi hanno ucciso i non residenti e i non musulmani, dopo quell’attacco all’università ed altri incidenti simili con effetti meno dirompenti, molti di questi professionisti sono scappati. Nella sola contea di Garissa mancano ancora all’appello circa 800 insegnanti e un numero imprecisato di personale sanitario, per cui ci sono scuole che hanno chiuso, centri sanitari che hanno chiuso… E questo è un problema, anche perché sta creando dei forti risentimenti nei confronti di uno Stato che sembra assente, che si focalizza molto sulla sicurezza ma che non riesce a convincere altri professionisti ad esporsi a questi rischi.


D. – Rispetto al campus universitario, che è stato oggetto della strage: il campus è aperto?
R. – Il campus è stato riaperto a gennaio, però 700 studenti non locali che frequentavano l’università non sono tornati. Adesso la maggior parte dei pochi studenti che sono rientrati all’università sono solo locali. Per cui è completamente cambiata la natura stessa dell’università. La parola “Garissa” viene ormai associata ad una minaccia nei confronti dei non musulmani.
D. – C’è il timore che possano esserci anche nuovi episodi di violenza legati alle milizie al-Shabaab?
R. – La paura di nuovi attentati è sempre molto forte e in questi giorni – ovviamente – l’attenzione è molto alta, perché gli anniversari li conoscono anche i terroristi…. C’è una tendenza ad approfittare di queste ricorrenze per ribadire il loro messaggio di violenza.
D. – Ricordiamo anche il ruolo che Amref ha avuto a Garissa nel momento della strage. E qual è il ruolo che può ancora avere Amref?
R. – Il personale di Amref che era nella città di Garissa – perché lavora proprio qui – è intervenuta subito all’Università, aiutando a portare via i feriti e a portarli in ospedale. Immediatamente sono intervenuti i “flight doctor” e abbiamo portato, con le nostre ambulanze, in aereo a Nairobi, 18 feriti fra i più gravi, che abbiamo poi anche assistito successivamente nella loro riabilitazione sia psicologica che fisica. Il ruolo di Amref sul territorio è molto importante ed è molto apprezzato, proprio perché ci occupiamo di sanità, di prevenzione dell’Hiv, del rafforzamento dei centri sanitari, di assistenza alle madri, di nutrizione, di assistenza agli orfani… Per cui la presenza sul territorio è importante ed è molto importante anche perché rappresenta un segnale che si può continuare lavorare, si può continuare a fare delle cose, pur mantenendo una forte attenzione sulla sicurezza e sulla tutela del nostro personale che opera sul territorio.




D. – Ritorniamo ancora all’anniversario della strage di Garissa: ha avuto già modo di avvicinare alcuni giovani, alcuni studenti ed avere da loro la sensazione di quello che si sta vivendo, anche in occasione di questo anniversario?
R. – La ricorrenza gli studenti la vivono quotidianamente, nel senso dell’emarginazione che vivono. Ho visitato una scuola molto derelitta, una scuola elementare e quindi con studenti molto giovani, in cui la metà dei ragazzi ha smesso di frequentare la scuola per la mancanza di insegnanti, ma anche perché vedono che le scuole e le istituzioni statali sono un bersaglio: le famiglie stesse hanno paura! Per cui si vive quotidianamente questo senso di minaccia.




Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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