Kieran Crighton è senz’altro il piccolo guerriero di Scozia e lo dice anche Luke Skywalker. La storia di questo giovane ragazzo è arrivata alle orecchie dell’attore di Star Wars Mark Hamill, che non ha potuto non esultare perché, evidentemente, una grande Forza è con lui.
Quando questa parola irrompe nella vita di un bambino si apre lo scenario peggiore possibile. Colpisce il cervello ed è uno dei tumori infantili più invasivi, con una percentuale di sopravvivenza che supera di poco il 60%:
Il medulloblastoma è un tumore cerebrale di origine embrionale, che colpisce la fossa cranica posteriore e di cui si ammalano principalmente i bambini. Si tratta di una neoplasia maligna che cresce molto rapidamente, ha un potere infiltrativo elevato, così come la capacità di recidivare. (da Fondazione Veronesi)
Per Kieran Chrighton e sua madre Senga le spie d’allarme sono arrivate durante lo scorso Natale: un forte calo di peso nel ragazzo insospettì la mamma, ma i dottori misero questo sintomo in relazione con i problemi d’ansia legati al suo autismo.
A soli 12 anni, e con una diagnosi già così pesante sulle spalle, ha dovuto affrontare un’altro colpo forte: nel giorno di San Valentino arriva la conferma che c’è qualcosa di anomalo nel suo cervello e pochi giorni dopo i medici informano la madre Senga di non aver mai visto una forma così aggressiva di Medullobalstoma come quella di suo figlio. E non si spiegano come il giovanissimo non sia spezzato in due dal dolore.
Gli esami evidenziano 5 masse tumorali nel cervello di Kieran e il 2 marzo viene operato presso Glasgow’s Royal Hospital for Sick Children, un intervento riuscito ma non risolutivo:
I dottori dissero – dichiara la madre – che non avrebbero potuto operare di nuovo il suo cervello. Ecco qua. Dovevamo sperare che la chemio e radioterapia funzionassero. […] Non potevano inoltre garantire che avrebbe camminato o parlato di nuovo. Era troppo presto per saperlo. Così ci siamo concentrati sulla situazione del momento e poi in seguito avremmo affrontato tutto quello che sarebbe venuto. (da Irvine Times)
Se «aprile è il mese più crudele» – secondo T. S. Eliot, ottobre può essere il tempo della speranza. I poeti hanno sempre osservato con curiosità l’alternarsi delle stagioni e degli stati d’animo, notando che il cuore può inaridirsi in primavera e rifiorire d’inverno – se n’è accorta anche Nadia Toffa. La natura parla di un ciclo di vita e di morte ripetitivo tanto quanto necessario, ma il destino di un uomo non sta chiuso in un calendario di stagioni.
In questo autunno, in mezzo a giornate che si accorciano e foglie gialle che cadono – come è naturale che sia, il copione di Kieran racconta una storia nuova: tra lo stupore generale dei medici il piccolo guerriero ha ricominciato a parlare e degluitire, le sessioni di fisioterapia lo stanno accompagnando a camminare di nuovo.
La mamma sta facendo sapere a tutti quando è orgogliosa del suo bambino, che ha dimostrato una forza incredibile. Una sovrabbondanza di entusiasmo ci sta tutta, anche se questa famiglia sa bene che occorre mantenere salda la presa sulla realtà e non lasciarsi andare solo a sogni di guarigione perfetta. I passi da fare saranno ancora tanti e faticosi, ma nondimeno la gioia di questo momento va vissuta per intero, perché le grandi e infauste statistiche sono state contraddette da chi forse era il più titolato ad essere schiacciato.
Si può solo accostarsi con pudore a immaginare quanta sofferenza quotidiana abiti nel cuore di Senga Chrigton, che senza indugiare troppo nel suo privato ci informa però che è una madre sola. Una diagnosi di autismo è in grado di segnare a morte una famiglia, a causa delle molte preoccupazioni gravate da una burocrazia e assistenza ancora carenti nel sostegno a questa disabilità. In questo caso, il colpo dato dal medulloblastoma poteva essere decisivo per far alzare le braccia in segno di resa alla disperazione.
Raccontare questi casi di cronaca ha il senso di testimoniare la vertigine misteriosa del male e insieme la libertà umana di scegliere a cosa aggrapparsi dentro la propria storia, che fa parte di una Storia in cui l’uomo non è abbandonato alle sole sue forze. Qualcuno potrà ringraziare Dio del grande dono di bene che è stato concesso a Kieran; guardando gli stessi fatti qualcuno potrà insultare Dio per aver colpito con così ostinata perfidia un bambino o per aver salvato lui e ucciso molti altri.
Qualcun altro terrà Dio fuori da questa storia. Pensandoci, a me viene solo in mente la parola compagnia. La terra è un campo di battaglia in cui la mano di Dio non forza gli eventi, se non in circostanze eccezionali, ma dentro ogni evento quella stessa mano non cessa di essere sulle nostre spalle: questo intuisco, talvolta lo dimentico, talvolta è così forte che fa male.
Noi siamo così fieri di ciò che sappiamo fare e siamo altrettanto infastiditi se qualcosa ci rallenta o modifica la tabella di marcia. Di competenze ne abbiamo a sufficienza da vantarci e ostentarle. Noi sappiamo e facciamo. Ma non c’è posto migliore e più sofferto di quello in cui ora si trova Kieran. Imparare da capo i gesti più basilari della nostra vita è un capolavoro di umiltà.
Altro che cross fit e macchine e pesi, nella nostra palestra dovremmo inchinarci e seguire nient’altro che il circuito salvavita a cui Kieran sta dedicando tutti i suoi sforzi.
Deglutire, innanzitutto. Che è la base del nutrimento. Che poi è un’azione a cui non badiamo neppure, perché noi “degustiamo”, oppure “sorseggiamo”, oppure “banchettiamo”. Se dovessimo imparare da capo a deglutire dovremmo accorgerci di quella straordinaria evidenza che non siamo autosufficienti al nostro sostentamento e che mangiare è un atto di gratitudine … per fortuna qualcosa di fuori dal nostro ego ci riempie la pancia. Perciò grazie, Kieran.
Parlare, poi. Quanto sarebbe frustrante dover ripartire dalla lallazione per noi assi del commento acido, del botta e risposta e del ragionamento sofisticato? Ci costringerebbe all’essenziale, forse a decidere di cambiare radicalmente il nostro dizionario pieno zeppo di certezze lapidarie e formule; dovremmo scegliere parole brevi, magari molto comuni e semplici. Senz’altro ci colpirebbe la sorpresa di tornare a scoprire che si parla non fare l’altoparlante a se stessi, ma per bisogno di relazione con l’altro. «Mamma, ho sete» sarà per Kieran un traguardo gigante, e lo sarebbe anche per noi.
Camminare, infine. E per andare dove? Se le gambe funzionano bene, si può girare senza porsi troppe domande; si può finire per sdraiarsi e non usarle più. Tanto ci sono, all’occorrenza si daranno da fare. Ricomiciare a mettere un piede davanti all’altro, partendo da zero come fossimo un bimbo di un anno, ci rimetterebbe addosso quella vertigine e spinta che manca alle nostre giornate fatte di corse, attese, accelerate.
Il pilota automatico della routine ci rende insensibili verso quel miracolo ambulante che sono gli arti inferiori. Ricordo quel giorno in cui mi fermai per un tempo lunghissimo, spegnendo addirittura l’auto, per aspettare che un anziano curvo con il girello attraversasse le strisce pedonali e dietro a me c’erano altre mille auto che suonavano il clacson. Potevo anche io avere fretta di andare altrove, ma rimasi a guardare chi, lentamente, sapeva dove andare perché faceva una fatica immane ad andarci. Alle mie spalle avevo solo tante ombre uguali a me incatenate a un frenetico via vai.
Fonte it.aleteia.org
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