Il martirio del vescovo siro-cattolico, sotto l’impero Ottomano, intrecciato con le persecuzioni di oggi in Siria, Iraq e tutto il Medio oriente. Il via alla causa di beatificazione degli uccisi nell’attentato alla cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo soccorso a Baghdad (2010). Le grandi potenze indifferenti al destino dei cristiani e hanno smarrito la coscienza di fronte ai rifugiati.
La cerimonia della beatificazione del vescovo siro-cattolico Flaviano Michel Melki, il 29 agosto scorso, si è svolta in un’atmosfera quasi allucinante, come assistendo a qualcosa che si ripete di continuo. La proclamazione – avvenuta nel convento di el-Charfé (Harissa) – cade precisamente un secolo e un giorno dopo il martirio della fede del vescovo, seguita al genocidio del 1915 ad opera degli Ottomani. Ma in tutti gli spiriti, a questo primo genocidio, si imponeva il racconto di un nuovo genocidio, o piuttosto di un etnocidio, quello che lo Stato islamico (SI) ha perpetrato a Mosul e nella Piana di Ninive nel 2014, con la complicità di alcune potenze regionali.
Il patriarca Ignace Youssef III Younan ha presieduto la cerimonia di beatificazione, da lui qualificata come “storica”. Essa avviene a qualche mese dal giorno in cui papa Francesco– per la prima volta sulla bocca dei papi – ha usato il termine “genocidio” per definire il massacro degli armeni di 100 anni fa.
Nato nel 1858 a Kalaat Mara (vicino a Mardin, nell’attuale Turchia), mons. Melki, da bambino aveva visto la sua chiesa saccheggiata e bruciata durante i massacri del 1895 e sua madre assassinata. Ordinato nel 1913 vescovo di Mardin e Gazarta (l’attuale Cizre, nel sud-est della Turchia), Michel Melki ha vissuto in estrema povertà: egli aveva venduto perfino i suoi paramenti liturgici per soccorrere i poveri. Durante l’estate 1915, mentre si trovava lontano dalla sua diocesi, decide di tornarvi rapidamente dopo aver appreso che sulla sua città si sarebbero presto abbattute le violenze. Ai suoi amici che lo supplicavano a fuggire dalla Turchia in quel periodo, egli rispondeva: “Mai! Io verserò il mio sangue per le mie pecorelle”.
E’ stato arrestato il 28 agosto, insieme al vescovo caldeo Jacques Abraham ed entrambi esortati a convertirsi all’islam. Al loro fermo rifiuto, mons. Abraham viene abbattuto con un’arma da fuoco; mons. Melki, allora 57enne, è colpito fino a perdere conoscenza e viene poi decapitato. Il suo corpo è stato gettato nel fiume Al-Doujla (il Tigri).
Il nuovo beato è il secondo vescovo orientale che il Vaticano riconosce ufficialmente come martire “in odium fidei” (in odio alla fede). Nel 2001, Giovanni Paolo II aveva beatificato mons. Ignace Maloyan, arcivescovo armeno-cattolico di Mardin (Turchia), nello sforzo di valorizzare il suo sacrificio e incoraggiare i fedeli della sua Chiesa a rimanere attaccati alla loro terra.
Il martirio di Giovanni Battista
La beatificazione è stata celebrata alla presenza dei tre patriarchi maronita, greco-cattolico e armeno-cattolico: Beshara Rai, Gregorio III, Aram I. Presenti anche rappresentanti di tutti i patriarcati orientali e i nunzi apostolici di Libano e Siria, mons. Gabriele Caccia e mons. Mario Zenari.
Sotto un caldo soffocante, hanno partecipato anche molti sacerdoti e religiosi i cui ordini sono presenti in Siria e Iraq, insieme a un piccolo gruppo di fedeli della Chiesa siro-cattolica.
Il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ha letto la bolla papale che conferisce al vescovo martire il titolo di “beato”.
Nella sua omelia, il patriarca Younan ha mostrato che, per una coincidenza straordinaria, la beatificazione di mons. Melki è avvenuta il 29 agosto, giorno in cui la Chiesa cattolica ricorda la decapitazione di Giovanni Battista, quasi a sottolineare come attraverso i secoli, la fede viene spesso provata nel crogiolo del martirio.
Mettendo in relazione il genocidio del 1915 con quello che succede oggi, specie in Siria e in Iraq, il patriarca ha affermato che al “Perché?” levato al cielo da un popolo sradicato, spogliato della patria, costretto alla fuga, non vi è risposta tranne quella che si può ricevere nella fede.
“Il segreto della sofferenza – ha detto – non lo si comprende. Lo si accetta nello spirito di Cristo”.
E ha puntualizzato che il genocidio del 1915 ha in pratica eliminato la presenza dei siro-cattolici in Turchia. Su 80 milioni di turchi, oggi vi sono al più solo “50mila fedeli della nostra Chiesa”.
L’attentato contro la cattedrale di Baghdad
Il prelato ha annunciato che nel 2016 la sua Chiesa introdurrà una nuova causa di beatificazione, quella delle 48 vittime dell’attentato terrorista che cinque anni fa (nel 2010) ha devastato la cattedrale As-Saydé (Nostra Signora del Perpetuo soccorso), in piena messa domenicale. I due sacerdoti che celebravano sono periti durante l’attacco.
Ha poi evocato l’espulsione dei cristiani da Mosul e dalla Piana di Ninive (2014) come pure il rapimento di 200 famiglie a Quaryatayn (provincia di Homs, Siria), quella del sacerdote p. Jacques Mourad, del quale non si ha notizia da tre mesi, per non parlare della distruzione del monastero di S. Elian, che risale al 5° secolo.
Sulle famiglie rapite, avendo presente lo stile oscurantista con cui lo SI agisce, il vescovo ha aggiunto. “Sono state massacrate? Forzate ad abiurare la loro fede? Venduti come schiavi? Non sappiamo nulla”.
Non sono stati dimenticati nemmeno i due vescovi di Aleppo, Youhanna Ibrahim (siro-cattolico) e Boulos Yazigi (greco-ortodosso), dei quali non si hanno notizie da più di tre anni.
Agli occhi del patriarca Younan, una personalità forte, ciò non significa che occorra rassegnarsi davanti al fatto compiuto. Come sempre, quando parla ai media, egli ha avuto parole severe per denunciare “la passività delle grandi potenze” che “si vantano di difendere le libertà” e che abbandonano alla loro sorte la popolazione “che ha preso il rischio di restare”.
Il patriarca Younan non ha dimenticato di sottolineare che non solo i siro-cattolici, ma tutti i cristiani d’Oriente – caldei, assiri, maroniti, melkiti, armeni – sono minacciati, precisando che !quando la loro persecuzione non è fisica, essa è morale”.
Younan rimprovera alle grandi potenze anche l’aver perso i doveri di ospitalità, lasciando che un piccolo Paese come il Libano sopporti il pesante carico di centinaia di migliaia di profughi. “Dove è finita la coscienza del mondo?”, si è chiesto per l’ennesima volta.
Riguardo al Libano, il patriarca ha contestato anche “la leggerezza con cui certi dirigenti libanesi vendono le proprie responsabilità e il proprio Paese”, invece di “rassicurare i cristiani del Libano e di tutto l’Oriente eleggendo un presidente della Repubblica”.
Durante la cerimonia religiosa è stato cantato un inno composto in onore del nuovo beato ed è stata presentata una sua icona e un busto. La festa liturgica di mons. Flaviano Michel Melki è stata fissata per il 28 agosto, giorno del suo martirio.
Redazione Papaboys (Fonte www.asianews.it)
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