Una delle pagine più buie della storia del ‘900 torna in questi giorni a far discutere e divide nuovamente le fila tra coloro che si ergono in difesa del pontificato di Pio XII e chi, condizionato da tesi storiche non del tutto documentate e documentabili, torna a confondere la storia della seconda metà del secolo scorso con toni romanzati, richiamando alla memoria produzioni cinematografiche di scarso rilievo storiografico.
Il mondo dell’editoria è sempre stato molto attento al pontificato di Pacelli e alla “lunga notte” dell’Olocausto. In queste settimane il panorama letterario si è arricchito di una nuova opera dello scrittore e storico americano Mark Riebling, Church of Spies. La Chiesa delle Spie. La guerra del Papa contro Hitler, che, dopo aver avuto accesso ad alcuni documenti custoditi negli archivi vaticani cui nessuno prima d’ora aveva potuto consultare, scrive di un Papa che lavorava nell’ombra per far crollare il nazionalsocialismo. Saranno tuttavia i documenti desecretati degli archivi vaticani a sancire la verità dei fatti e a chiarire finalmente la posizione che la Chiesa assunse in quegli anni.
La Chiesa per troppo tempo si è impegnata a difendere la figura di Pio XII da attacchi ignobili tesi a tratteggiare un Pontefice amico dei nazisti e disinteressato alle sorti cui versava l’Europa già a partire dal 1933, quando Pio XI (Papa fino al 1939) accolse la notizia della nomina a Cancelliere di Adolf Hitler con entusiasmo poiché era il primo politico estero a porsi in netto contrasto con il comunismo. Il suo successore, Papa Pio XII appunto, negli anni della Guerra fredda, in cui si sono contrapposti sul piano globale i due blocchi, fu soprannominato addirittura “Il Papa di Hitler” a causa della sua riluttanza nel condannare i crimini di guerra nazisti e del silenzio sulle atrocità commesse contro gli ebrei e le altre minoranze, ma ora si scopre che ha collaborato con la resistenza tedesca e per far crollare Hitler. Congetture? Supposizioni? A quanto pare, adesso si tratterebbe di vere e proprie fonti storiche che attesterebbero – ancora una volta – l’esistenza di una rete di rapporti “segreti” e conversazioni diplomatiche tra i rappresentanti della Santa Sede e una parte della gerarchia tedesca turbata e contrariata dai toni che aveva assunto negli anni la politica hitleriana. Come afferma Riebling nel libro, i piani non sortirono gli effetti sperati, a causa di cospiratori troppo nervosi, poteri stranieri poco convinti e all’abilità di Hitler di schivare anche i migliori piani assassini.
Il Vaticano aveva riconosciuto il pericolo nazista e aveva il timore che Hitler potesse nazionalizzare la Chiesa come aveva fatto Enrico VIII in Inghilterra. Allo stesso tempo, Roma temeva che molti cattolici tedeschi potessero iniziare a preporre Hitler allo stesso Papa. I nazisti stavano creando una religione finta, per esempio, decoravano gli alberi di Natale con svastiche, piuttosto che con stelle. Addirittura, un cardinale – riporta lo storico – definì “Adolf Hitler essenzialmente grande come Cristo”.
Pio XII, perfettamente consapevole della situazione globale di fronte alla furia cieca e sorda del piano imperiale e razziale che Hitler aveva teorizzato nel Mein Kampf del 1925, poi divenuto una sorta di manifesto programmatico del partito nazista, da fedele discepolo di Cristo non poteva ignorare il suo suggerimento: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Dunque, con prudenza ed estrema saggezza diplomatica si mosse negli anni del conflitto e delle persecuzioni, dapprima affidandosi alle parole (trasmesse attraverso gli ormai noti Radiomessaggi lanciati attraverso i microfoni della Radio Vaticana) e dopo con azioni concrete tese ad aiutare e a consolare i “travagliati”, contrastando le “folli strutture di peccato” e così lasciando alle “spie ecclesiastiche” (come le definisce lo storico Riebling) di svolgere il loro lavoro. Spiegando la difficile posizione in cui si trovava, il Papa rivolgendosi a un diplomatico francese, disse: «Sai quali sono le mie simpatie, ma non le posso dire». Invece di opporsi al nazismo, assunse l’intermediario Josef Müller che era stato personalmente interrogato da Heinrich Himmler, ma poi era stato lasciato dal capo delle SS, rimasto impressionato dalla sua franchezza.
L’avvocato bavarese Josef Müller (1898-1979), faceva parte dei servizi segreti tedeschi (Abwehr) dell’ammiraglio Canaris, uno dei centri occulti dell’opposizione anti-hitleriana. Esponente del cattolicesimo politico tedesco durante la repubblica di Weimar e dopo la Seconda Guerra mondiale, tra i fondatori della Csu, durante il regime nazista, fu tra gli esponenti più attivi dell’opposizione ed è noto soprattutto per i contatti assidui che ebbe col Vaticano tra il 1939 e il 1940. Müller . Lo storico Roberto Pertici racconta che l’avvocato inviato a Roma con una scusa, in realtà prese subito contatto con l’entourage del Pontefice (in cui erano presenti molti prelati tedeschi) per mettere a conoscenza lo stesso Pio XII dei progetti dell’opposizione tedesca e dei suoi piani per rovesciare Hitler e costruire una Germania democratica. Soprattutto chiese che il Papa se ne facesse tramite e garante con il governo inglese, ruolo che Pio XII, con notevolissimi rischi, accettò di svolgere per mezzo dell’ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Osborne.
Si trattò, come ha scritto Renato Moro, di un “fatto assolutamente sbalorditivo nella storia del papato”, ma le vittorie di Hitler in Norvegia e poi in Francia fecero abortire l’operazione. Müller venne arrestato nel 1943 e tradotto nel campo di concentramento di Flossenbürg, ma – a differenza di altri detenuti illustri di quel campo (e suoi compagni di cospirazione) come Canaris e il pastore Dietrich Bonhoeffer, che furono uccisi nell’aprile del 1945 – fu trasferito in Alto Adige, nel paese di Niederdorf (Villabassa) con altri 138 prigionieri “speciali”, per essere usati dalle SS come eventuali pedine di scambio, come spiega Mirella Serri nel suo libro Gli invisibili, edito da Longanesi, Josef Muller, scrive a tal proposito la giornalista, nota penna de La Stampa, “è stata una di quelle persone che sono riuscite a sopravvivere all’inferno del fascismo, aiutando molte persone in tempi difficili”.
Il 2 giugno dello stesso anno, rivolgendosi ai membri del Sacro Collegio che gli faceva gli auguri per la ricorrenza onomastica di sant’Eugenio, Pio XII affrontò per la prima volta in pubblico il problema dei rapporti fra la Chiesa e il nazismo: “Voi vedete – affermò – ciò che lascia dietro di sé una concezione e un’attività dello Stato, che non tiene in nessun conto i sentimenti più sacri dell’umanità, che calpesta gli inviolabili principi della fede cristiana. Il mondo intero, stupito, contempla oggi la rovina che ne è derivata”. “Questa rovina – aggiungeva – Noi l’avevamo veduta venir di lontano, e ben pochi, crediamo, hanno seguito con maggior tensione dell’animo l’evolversi e il precipitarsi della inevitabile caduta”.