Giornata annuale per i missionari martiri, venerdì 24 marzo, nel 37.mo anniversario dell’uccisione del Beato Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador. Tante le iniziative in programma. Per la diocesi di Roma una veglia itinerante e il musical “Romero” al Teatro Vignoli con ingresso gratuito. Obiettivo: non dimenticare chi ha amato fino alla fine.
I martiri vicini e quelli lontani, i martiri dall’eco mondiale come mons. Oscar Arnulfo Romero e quelli meno noti come padre Ragheed Ganni, il giovane sacerdote cattolico caldeo, assassinato a Mosul il 3 giugno del 2007 al termine della Messa, che di certo non cercava la fama dell’eroe mentre continuava a servire Cristo e annunciare il Vangelo ogni giorno, sotto le bombe. Per loro e per i 28 operatori pastorali uccisi lo scorso anno, la Chiesa si ferma con una giornata di preghiera e digiuno. Mons. Paolo Lojudice, vescovo ausiliare della Diocesi di Roma per il Settore Sud e incaricato per le Missioni:
R. – Il martirio non si cerca, il martirio – come dire – è qualcosa che certamente un missionario non solo deve mettere in conto, perché è un po’ un coronamento di una vita cristiana, anche se è duro dirlo, ma è anche un dono che Dio fa. La missione invece va ricercata, va fatta, va portata avanti in tutti i modi e noi come Chiesa di Roma dobbiamo continuamente interrogarci e metterci in moto, da questo punto di vista, affinché non si spenga mai questo anelito missionario che porta le comunità, le persone, noi preti a cercare di portare, di annunciare il Vangelo fino ai confini della terra. La logica è essenzialmente questa: c’è una missione lontana, c’è la missione di tutti i giorni, c’è la missione del nostro tempo, delle nostre città che non è meno impegnativa. Chiunque viva o abbia vissuto entrambe le situazioni, sa che la missione che siamo chiamati tutti noi credenti a vivere lì dove siamo – e quindi noi qui, nella città di Roma – non è meno impegnativa, oggi come oggi, di altre missioni. Certamente è proprio l’insieme, è proprio il mettere insieme i vari aspetti che poi fa venir fuori quell’unico grande cammino dell’unica Chiesa che cerca, con tutti i mezzi e in tutti i modi – direbbe San Paolo: opportuni e inopportuni – di annunciare il Vangelo.
D. – Missionari di un tempo, neanche troppo lontano, come mons. Romero, ma missionari e martiri anche di oggi – pensiamo ai cristiani in Iraq, in Nigeria e alle persecuzioni che subiscono ogni giorno…
R. – Chi ci parla con viva voce da quei luoghi, ci dice che effettivamente proprio la Croce manifesta questa grande opposizione: si muore perché si è cristiani. Il rischio veramente è che a volte non dico ci si dimentichi, ma che si sottolinei o si parli un po’ troppo poco di quello che accade in certe parti del mondo; a volte siamo saturati da immagini o bombardati dalla televisione che porta sugli schermi di tutte le case immagini, situazioni, commenti … Credo che vada anche un po’ recuperato il valore di una preghiera costante che accompagni sempre, da parte di tutte le comunità, chi vive quelle situazioni.
A Roma, una veglia di preghiera itinerante partirà il 23 sera alle 18.00 dalla Basilica dei Santi Quattro Coronati e arriverà a San Bartolomeo all’Isola Tiberina dove tra testimonianze e meditazioni si celebreranno i martiri del 900 e l’eredità che hanno lasciato al mondo. Poi venerdì 24, alle 21 nel Teatro Vignoli della parrocchia di San Leone, andrà in scena il musical “Romero”, ideato da don Luca Pandolfi con la sceneggiatura di Amalia Bonagura. E’ la storia di un gruppo multiculturale di studenti romani, tra loro anche un giovane immigrato salvadoregno, che decide di realizzare un viaggio nel Salvador sulle tracce di mons. Romero ucciso il 24 marzo del 1980. Emergono così luci e ombre di un Paese bellissimo ma segnato da violenza, narcotraffico, immigrazione e povertà. Sentiamo don Luca Pandolfi:
R. – La storia di questo musical è una storia che parla di immigrazione, di multiculturalità qui in Italia e quindi forse un messaggio a pensare un’Italia multiculturale, a un’Italia plurale dove tanti giovani – vissuti o nati in Italia, anche se originari da altri Paesi – sono italiani e convivono con molta allegria e molta felicità insieme a tanti altri giovani di origine italiana. Un altro messaggio è invece un messaggio che riguarda il viaggiare: forse è un invito a tutti, giovani e adulti, a conoscere l’altro attraverso il viaggio, però non un viaggio dove andiamo noi ad aiutare, volontari che vanno a fare del bene: no, un viaggio dove si va a farsi aiutare, a farsi aiutare a conoscere una realtà, ad avere delle testimonianze. Ecco, un po’ l’idea di un’Europa che si sposta, un’Italia, gente di Roma che si sposta per andare a incontrare l’America Latina per imparare e non sempre per dare, per aiutare, per insegnare. Romero, io non l’ho mai incontrato, perché Romero l’hanno ucciso 37 anni fa; dicevano che Romero è vivo, è vivo nel suo popolo: ecco, questo è vero. Se uno va lì, incontra chi vive oggi Romero, chi mette in pratica e rende vivo, risorto Romero nella vita di tutti i giorni.
D. – Il tema del viaggio, della fratellanza, dell’integrazione, l’incontro con la colorata e festosa realtà salvadoregna, l’ascolto e la condivisione di tante testimonianze di chi mons. Romero l’aveva conosciuto, si susseguono nel musical tra coloratissimi murales, canzoni e coreografie coinvolgenti riproponendo con forza il messaggio della santità e del martirio capaci di rendere il mondo, un posto migliore…
R. – Loro raccontano di un uomo vicino alla gente; oggi, con una frase di Papa Francesco, si direbbe che era un vescovo che aveva l’odore delle pecore. Proprio questa umanità lo ha messo in contatto con la realtà di questo popolo sofferente e ha deciso di avvicinarsi sempre di più a questo popolo. Quindi, si è schierato dalla parte del popolo, ma perché lo ha frequentato, è stato con loro, e loro si ricordano tutti di questo vescovo che arrivava anche nei villaggi di campagna, parlava con la gente, si metteva ad ascoltare gli anziani: metteva loro in cattedra …
A cura di Cecilia Seppia per radiovaticana
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