Categorie: Ethica et Oeconomia

La Cina ferma il racket dell’espianto di organi da condannati a morte

DAL PRIMO GENNAIO – Nel 2013 vi sarebbero state almeno 2.400 esecuzioni capitali rispetto alle 12mila dell’anno precedente. Ma il dato è ritenuto sottostimato. La denuncia: tra il 2000 e il 2005 la più probabile fonte di organi proveniva dai prigionieri del Falun Gong, etnia perseguitata da molti anni nel Paese.

La pratica dovrebbe cessare dal primo gennaio 2015. Il racket degli organi espiantati dai cadaveri delle persone condannate a morte, dovrebbe cessare in Cina a partire dal primo gennaio del nuovo anno. Usiamo il condizionale, perché non è la prima volta che il Paese asiatico – che su questo punto subisce la pressione internazionale che vorrebbe far cessare questa pratica – dà un annuncio di questo tipo. Nel 2006 fu varato un nuovo regolamento – tuttora in vigore – per eliminare il commercio d’organi e nel 2012 la Cina ammise di prelevare organi dai detenuti defunti, annunciando che il fenomeno sarebbe stato sradicato “entro cinque anni”; nel novembre dello stesso anno, dopo nuove proteste internazionali, fissò il termine ultimo “entro e non oltre il 2013”.
La donazione volontaria. La decisione di annullare questa pratica – che è apparsa sulla stampa ufficiale – è stata annunciata dal responsabile del Comitato per la donazione di organi, Huang Jiefu, già vice-direttore del Ministro della Sanità, secondo il quale “i maggiori centri di trapianto hanno già smesso di usare organi di questa provenienza”. Sarà quindi la donazione volontaria l’unico modo per ottenere organi da trapiantare.
Almeno 2.400 esecuzioni nel 2013. I giornali di Pechino però, sottolineano il fatto che i donatori volontari sono solo lo 0,6 per milione in Cina, circa 60 volte meno che in Europa. La lista di attesa per i trapianti è lunghissima: ogni anno, ne avrebbero bisogno 300mila persone, ma le operazioni sono solo 10mila. “Questo lento sviluppo – ha sostenuto Huang Jiefu – ha due cause: una mancanza di entusiasmo per il concetto in sé e il timore di vedere i propri organi finire in mercati sbagliati. La gente vorrebbe vedere la donazione gestita in maniera corretta, aperta e giusta”. In questo contesto, l’espianto senza consenso dai cadaveri dei giustiziati rappresenta una “risorsa”. Infatti, secondo un rapporto della Dui Hua Foundation, una ong attiva sul fronte dei diritti umani con sede negli Stati Uniti – che cita “una fonte giudiziaria con accesso al numero di esecuzioni condotte ogni anno” – nel 2013 vi sarebbero state almeno 2.400 persone in questa condizione. La pratica dovrebbe cessare dal primo gennaio 2015. Il racket degli organi espiantati dai cadaveri delle persone condannate a morte, dovrebbe cessare in Cina a partire dal primo gennaio del nuovo anno persone in questa condizione. Un numero inferiore rispetto alle condanne eseguite nel 2002 – 12mila – ma che viene ritenuto sottostimato. Bisogna anche tener presente che nel rapporto 2013 di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo, viene scritto che “dal 2009 Amnesty International ha cessato la pubblicazione delle stime sull’impiego della pena di morte in Cina, Paese in cui i dati su tale pratica sono considerati segreto di Stato”.
Le esecuzioni dei Falun Gong per l’utilizzo degli organi. David Kilgour, ex Segretario di Stato canadese, insieme a David Matas, avvocato canadese per i diritti civili, nel libro “Bloody Harvest: la sottrazione degli organi ai praticanti del Falun Gong in Cina”, hanno affermato che tra il 2000 e il 2005 la più probabile fonte di organi proveniva dai prigionieri del Falun Gong, etnia perseguitata da molti anni nel Paese. Un altro libro molto documentato, “Il massacro: uccisioni di massa, la raccolta di organi e la soluzione segreta della Cina al problema dei dissidenti”, di Ethan Gutmann, esperto giornalista investigativo, utilizza interviste ai praticanti del Falun Gong sopravvissuti ai campi di lavoro del regime cinese e altre prove per dare un’idea più completa del prelievo forzato di organi. di Umberto Sirio per Agensir

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