L’Ucraina “non può accettare alcun ultimatum dalla Russia”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nella serata di oggi, 21 marzo.
Il bilancio delle vittime tra i civili nella città di Mariupol ha superato quota 3mila: a sostenerlo è il comandante del distaccamento di Azov, il maggiore Denys Prokopenko.
Secondo l’ufficiale, tuttavia, “nessuno può dire il numero esatto dei morti, poiché le persone vengono sepolte in fosse comuni, senza nome. Molti cadaveri restano insepolti per le strade. Alcune persone rimangono intrappolate sotto le macerie, sepolte vive”.
Padre Pavlo Tomaszewski ha 35 anni, è un religioso paolino ed è il rettore della Parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa a Mariupol, la città martire di questa guerra in Ucraina.
La città che non aveva chiese ai tempi dell’Unione sovietica e che è diventata poi la ‘città di Maria’. Una famiglia di origine polacche – racconta in una intervista all’Agenzia Ansa – , quella del sacerdote ucraino che vuole gridare al mondo che a Mariupol si sta vivendo quello che “non era immaginabile”.
Lo ha fatto in un incontro online con la stampa internazionale organizzato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Ora è al riparo, fuori dalla città più colpita dai russi. “Se mai esista un posto sicuro”, commenta. E’ riuscito a lasciare Mariupol con il suo confratello; il terzo religioso del suo monastero era casualmente, prima che scoppiasse la guerra, in Polonia “ed è stato un bene sia per lui che per noi perché sarebbe stato più complicato salvarsi in tre anziché in due”.
Padre Pavlo parla di “bombardamenti senza nessuna sosta”, di vetri dei palazzi che saltavano, di “tre donne uccise in strada solo perché erano uscite per cercare qualcosa da mangiare”.
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Giorni in cui Mariupol si è trasformata in un “inferno” e si viveva nei bunker o comunque protetti dai muri del monastero. Il rumore delle bombe, e poi “giorni senza elettricità, senza acqua, senza cibo”.
Senza Messe con i fedeli, ma la chiesa è rimasta aperta per chi cercava aiuto. “Ho perso i contatti con tutti i parrocchiani, non potevo sentire né visitare nessuno, lasciare la casa era come una lotteria”.
Lasciare Mariupol “non è stata una decisione facile”, dice don Pavlo che immagina la sua parrocchia “ora saccheggiata e distrutta”.
La cosa più dolorosa è stato vedere, nel momento in cui si è verificata una pausa dei bombardamenti, “un grande caos, negozi e supermercati assaltati dalla gente che cercava di prendere qualsiasi cosa, anche gli scaffali”.
“In quel momento abbiamo capito che non potevamo fare niente noi sacerdoti. Come puoi aiutare la gente se loro rendono la situazione più difficile devastando i negozi e prendendo tutto quello che trovavano? Certo per necessità ma ho visto persa l’umanità, la dignità. Persone diventate come animali”.
E non si può aggiungere altro, solamente la preghiera ci aiuterà a comprendere l’atrocità e la ferocia nascoste dentro il cuore degli uomini.
Stiamo combattendo contro uno dei più grandi eserciti del mondo per la nostra salvezza. Contro missili, bombe e artiglieria a reazione. Contro gli occupanti che sparano ai profughi sulle strade. Che uccidono civili comuni, creano fame artificiale per intere città, bruciano quartieri. Questa è la peggiore guerra in Europa dalla seconda guerra mondiale.
Foto di questo servizio: Heidi Levine, Aris Messinis, Pavel Petrov, Salwan Georges, Shant Khatcherian.
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