Dopo la morte della madre, la devozione alla Madonna divenne nel suo cuore più intensa. Secondo alcuni studiosi, Wojtyla avrebbe trasferito alla Madre celeste quell’affetto e quella tenerezza che non poteva più avere per la sua madre terrena. A Wadowice, quando era studente liceale, si era iscritto al “Sodalizio di Maria”, un’associazione maschile di giovani che si proponevano di diffondere la devozione alla Madonna. E durante il liceo, era stato eletto per due anni consecutivi presidente di quell’Associazione. In occasione del suo ottantesimo compleanno, Giovanni Paolo II ha scritto un libro autobiografico dal titolo “Dono e Mistero”. In quelle pagine indica la devozione alla Madonna quale fonte della propria vocazione sacerdotale e di tutto quello che poi ne è seguito. “Parlando delle origini della mia vocazione sacerdotale”, ha scritto Wojtyla in quel libretto “non posso dimenticare il “filo mariano. La venerazione alla Madre di Dio nella sua forma tradizionale mi viene dalla famiglia e dalla parrocchia di Wadowice. Ricordo, nella chiesa parrocchiale, una cappella laterale dedicata alla Madre del Perpetuo Soccorso, dove di mattina, prima dell’inizio delle lezioni, si recavano gli studenti del ginnasio. Anche a lezioni concluse, nelle ore pomeridiane, vi andavano molti studenti per pregare la Vergine”.
Inoltre, a Wadowice, c’era, sulla collina, un monastero carmelitano, la cui fondazione risaliva ai tempi di San Raffaele Kalinowski. Gli abitanti diWadowice lo frequentavano in gran numero, e ciò non mancava di riflettersi in una diffusa devozione per lo scapolare della Madonna del Carmine. Anch’io lo ricevetti, credo all’età di dieci anni, e lo porto tuttora. Si andava dai Carmelitani anche per confessarsi. “Fu così che, tanto nella chiesa parrocchiale quanto in quella del Carmelo, si formò la mia devozione mariana durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fino al conseguimento della maturità classica”.Tyranowski, scrisse in seguito Giovanni Paolo II “era una persona che si distingueva da tutte le altre. Di professione era impiegato, anche se aveva scelto di lavorare nella sartoria di suo padre. Affermava che il lavoro di sarto gli rendeva più facile la vita interiore. Era un uomo di una spiritualità particolarmente profonda”. Dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, la chiesa polacca viveva in grandissime difficoltà. I nazisti avevano arrestato moltissimi sacerdoti. Anche gli otto salesiani che lavorano nella parrocchia di San Stanislao erano finiti in campo di concentramento, tranne uno. Questi, per cercare di tenere viva la fede nella parrocchia, soprattutto tra i giovani, chiese aiuto ai laici e si rivolse anche Jan Tyranowski.Il sarto si dedicava già a una sua piccola iniziativa spirituale tra i giovani, che aveva chiamato “Rosario vivente”. Anzi, in varie occasioni aveva anche parlato con i religiosi della parrocchia di questo suo lavoro, ma senza essere preso in considerazione. Ora però quella sua attività diventava preziosissima e fu pregato di coltivarla con grande diligenza. Il “Rosario Vivente” era una iniziativa mariana rivolta ai giovani perché potessero dare concretezza alla propria fede. Gli iscritti si impegnavano soprattutto a mettere in pratica, nella vita di tutti i giorni, gli insegnamenti che venivano dalla preghiera, dalla lettura del Vangelo e di altri libri a carattere spirituale.
Durante l’invasione tedesca, il movimento divenne clandestino. Come tutte le associazioni cattoliche, anche il “Rosario Vivente” fu proibito dai tedeschi. Essi consideravano i gruppi giovanili fertile terreno di complotti. Una volta la Gestapo fece irruzione nell’appartamento di Tyranowski durante una riunione. Nessuno sa che cosa il sarto disse per scongiurare l’arresto di tutti i presenti. Ci fu una lunga discussione, al termine della quale i poliziotti della Gestapo se ne andarono. Gli iscritti al “Rosario vivente” erano divisi in gruppi di quindici individui. Ogni gruppo era guidato da un capo, che rispondeva direttamente al fondatore, Jan Tyranowski. Negli anni dell’invasione, il movimento contava circa una sessantina di aderenti, il più giovane dei quali aveva 14 anni, ed erano guidati da quattro capi: uno di essi era Karol Wojtyla. Jan Tyranowski incontrava il gruppo al completo una volta al mese, ma era sempre disponibile a ricevere chiunque avesse avuto bisogno di parlare con lui. Per quei giovani egli era un vero padre spirituale, una guida di grandissimo valore che amavano e seguivano con ardore. I suoi insegnamenti erano elementari. Diceva che bisognava avere idee chiare e concrete sulle verità della fede, e su come si deve agire per metterle in pratica con determinazione. Suggeriva ai suoi giovani di fare l’esame di coscienza tutti i giorni e a tenere, su un quaderno, un controllo scritto quotidiano per verificare le proprie azioni e la fedeltà ai propositi fatti. Fu Tyranowski, a favorire, nel giovane Wojtyla, la conoscenza del misticismo spagnolo e in particolare, appunto, delle opere di san Giovanni della Croce e di Santa Teresa d’Avila. Opere che ebbero, poi, sulla sua formazione spirituale e sul suo pensiero teologico una grande influenza. Ma Tyranowski contribuì molto anche alla “maturazione” della devozione mariana di Karol Wojtyla. Fu lui a suggerire a Karol, in quegli anni di guerra, la lettura delle opere del grande mariologo francese San Luigi Maria Grignion de Monfort, in particolare il famoso “Trattato”, opera che è ancora fondamentale nella storia della mariologia. Quelle letture aiutarono Wojtyla a passare da una devozione mariana istintiva, a quella teologica, che lo accompagnerà per tutta la vita.La devozione mariana fu una delle componenti principali dell’attività sacerdotale di Wojtyla. Quando venne nominato vescovo, dovette scegliere, com’è consuetudine, un “motto” uno slogan da inserire nel proprio stemma vescovile. E anche in quella scelta Wojtyla palesò quando grande fosse stata l’influenza di Jan Tyranowski nella sua formazione spirituale. Lo stemma da lui scelto era costituito da una croce, una «M» (a significare Maria), e dalla scritta «Totus tuus», (tutto tuo), frase che racchiude proprio l’essenza delle devozione alla Madonna. La frase “Tutus tuus” ha scritto Wojtyla nel suo libretto autobiografico “deriva da San Luigi Maria Grignion de Montfort. È l’abbreviazione della forma più completa dell’affidamento alla Madre di Dio, che suona così: Totus Tuus ego sum et omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor Tuum, Maria”. E da allora, quella frase,fu la sua “parola magica”, la sua guida, il suo slogan, presente nei discorsi, nelle lettere, nelle esortazioni. Appena eletto Papa, la fece scrivere anche sui muri del Vaticano, accanto allo stemma del suo Pontificato. a cura di Emanuela Graziosi
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